Il ministero della Giustizia algerino ha reso noto che 76 esponenti del movimento di protesta anti-governativo, detenuti nelle carceri del Paese, sono stati rilasciati. Tra i prigionieri liberati ci sono anche Lakhdar Bouregaa, 86 anni, veterano della Guerra di Indipendenza algerina e fondatore del Fronte delle Forze Socialiste, uno dei principali partiti di opposizione del Paese ed il Generale in pensione Hocine Benhadid. Bouregaa era stato arrestato nel mese di giugno ed accusato di “aver insultato un’istituzione statale” e di aver “cercato di demoralizzare la difesa della nazione” e la sua liberazione era divenuta una richiesta pressante da parte dei manifestanti che contestano, ormai da molti mesi, l’esecutivo di Algeri. Una serie di manifestazioni popolari ha portato, nel mese di aprile, alla caduta dell’ex Capo di Stato Abdelaziz Bouteflika ma le vere radici delle proteste sono ben più radicate e la caduta di Bouteflika non ha posto fine alle richieste dei contestatori.
Crisi sistemica
Le contestazioni, iniziate il 22 febbraio, hanno cercato di convogliare la rabbia dovuta alla disoccupazione ed alla corruzione esistenti in Algeria ed alla presenza di un elite al potere considerata sempre più lontana dal popolo. La decisione di Bouteflika di non ripresentarsi per un altro mandato, però, non ha placato i dimostranti che vorrebbero una reale apertura del sistema politico e la rimozione degli apparati che controllano il governo del Paese. Le elezioni presidenziali del 12 dicembre sono così state contestate dato che tutti e cinque i candidati avevano supportato in passato Bouteflika oppure avevano preso parte ai suoi governi. I dimostranti non hanno visto di buon occhio la permanenza al potere degli esponenti del passato esecutivo ed hanno ritenuto che le consultazioni fossero un semplice tentativo di rimescolare le carte e di favorire una riedizione dei vecchi schemi politici. Il voto ha visto emergere vincitore l’ex primo ministro Abdelmadjid Tebboune, 74 anni, ma sembra improbabile che la sua elezione possa porre fine alla crisi politica algerina.
Le prospettive
L’Algeria ha molto da perdere qualora venisse colpita da un prolungato periodo di instabilità dovuto alla mancata legittimazione del governo al potere. Il Paese, tra i più grandi del continente africano, è ricco di idrocarburi ma in un passato non lontano è anche stato colpito da una violentissima guerra civile che ha provocato più di centomila morti e che ha visto contrapporsi gruppi di radicali islamici e le élite militari nazionali. Gli scontri, iniziati nel 1991 e terminati nel 2002 con la sconfitta dei radicali, hanno portato ad un rafforzamento del governo di Algeri che però ha perso, progressivamente, popolarità. Una crisi politica interna rischia di favorire le attività di gruppi jihadisti nel Sud del Paese, sterminato e desertico e molto vicino a quelle aree del Sahel toccate dall’insurrezione di gruppi legati allo Stato Islamico, ad Al-Quaeda e di matrice locale. L’Algeria, dunque, potrebbe venire risucchiata nel gorgo delle violenze senza riuscire ad elaborare una strategia di contrasto efficace a causa del clima di instabilità interno. I prossimi mesi saranno necessari per capire se le dimostrazioni riusciranno a favorire l’apertura del sistema politico oppure se le forze dominanti manterranno il controllo della situazione.