Dall’inizio della crisi tra il blocco a guida saudita e il Qatar, la Turchia ha immediatamente preso le parti dell’emirato, sostenendo le scelte del governo di Doha e condannando la decisione presa da Riad e sostenuta da molti altri Stati legati ai Saud. La Turchia di Erdogan e anche l’Iran sono stati gli unici Paesi ad appoggiare apertamente il piccolo e potente emirato, rispetto ad altri partner arabi e non solo che invece hanno taciuto di fronte al blocco imposto dai sauditi. Una scelta dettata da motivazioni economiche e politiche, ma che dimostra, ancora una volta, la volontà della Turchia, e in particolare di Erdogan, di ritagliarsi uno spazio di autonomia e di leadership all’interno dell’area mediorientale. Ed è una scelta che è confermata in questi giorni, con la decisione presa dal presidente turco di intraprendere un tour diplomatico nel Golfo Persico tra il 23 e il 24 luglio, visitando le rappresentanze di Qatar, Arabia Saudita e Kuwait – Kuwait che da settimane ha iniziato un lento e difficile lavoro di mediazione sponsorizzato dagli Stati Uniti.
Che la Turchia decida di entrare così a fondo nelle dinamiche persiche, è qualcosa di molto importante, che merita di essere analizzato per comprendere quali siano i profili da considerare nel rapporto sempre più stretto fra Doha e Ankara. Un rapporto che fino a qualche mese fa era abbastanza sconosciuto, e che invece si è trasformato in qualcosa di quasi indissolubile dopo l’embargo imposto dai sauditi e dai loro alleati. I motivi di quest’alleanza sono da ricercare in tre fattori: economici, politici e strategici.
Dal punto di vista economico, Qatar e Turchia sono due partner commerciali fondamentali per le rispettive economie. Il commercio fra i due Paesi è quantificato in un volume pari a circa 425 milioni di dollari e dal 2011 a oggi le esportazioni turche in Qatar sono aumentate del 126%. Cifre importantissime che rivestono un ruolo primario nell’economia turca, che nella prima decade del Duemila ha assistito a una crescita costante e con ritmi molto elevati, e che adesso sta lentamente diminuendo nei numeri, pur rimanendo in ascesa. Le imprese turche attive in Qatar sono centinaia, e gli investimenti qatarioti in Turchia ammontavano, soltanto nel 215, a venti miliardi di dollari. Inoltre, fra Ankara e Doha è stato concluso un accordo di importazione di gas naturale liquefatto che ha un’importanza vitale nei giochi geopolitici mediorientali e nei complessi rapporti che intercorrono fra la Turchia e la Russia. La perdita di un partner commerciale di questo livello, unita alla delicata situazione sociale turca, fa sì che Erdogan non possa permettersi la perdita di questo prezioso alleato del Golfo Persico.
A questi concreti e fondamentali utili economici, s’innestano le ragioni politiche dietro quest’alleanza e dietro l’impegno di Erdogan per fermare la crisi con Riad, e che sono sintetizzabili nella comunanza di visioni geopolitiche di Ankara e Doha, in particolare attraverso la Fratellanza Musulmana. L’asse dei Fratelli Musulmani, appoggiati da Turchia e Qatar, aveva trovato il perno di collegamento fra questi tre attori, due statali e uno politico, nell’elezione di Morsi alla guida dell’Egitto. La caduta di Morsi per mano di Al-Sisi ha rafforzato l’alleanza tra Ankara e Doha perché ha fatto comprendere a entrambi i Paesi che l’Arabia Saudita non era sulla stessa linea. Pur mantenendo una sorta di “blocco sunnita”, le spaccature riguardo alla Fratellanza Musulmana, erano già a quei tempi molto evidenti, e non a caso l’Egitto di Al-Sisi è stato fra i primi a unirsi a Riad nel blocco contro il Qatar. Un’alleanza che si è riconfermata nella guerra in Siria, dove Turchia e Qatar erano da subito unite nel supportare alcune fazioni ribelli, in modo da far cadere Assad e prendere la leadership dell’opposizione siriana. Un’idea che l’Arabia Saudita aveva invece ostacolato per evitare che Erdogan potesse espandere la propria influenza in modo così netto in Siria e di conseguenza allungare la rete di interesse del rivale qatariota.
La base militare turca nel territorio del Qatar è infine l’ultimo grande elemento su cui ruota l’importanza dell’emirato nella geopolitica di Erdogan. In realtà. La base rappresenta più l’emblema di questa alleanza che una ragione posta alla sua base. Ma appare come un elemento imprescindibile per comprendere il motivo di tanto interesse per Erdogan nel Qatar. La geopolitica neo-ottomana del presidente turco si basa sull’espansione della Turchia in due direzioni: Mediterraneo e Golfo Persico. La Turchia è una nazione con una ferma volontà di potenza, e che ha necessità di allargare i propri interessi. Proprio per questo motivo, avendo il suo settentrione e il suo occidente occupati da Russia ed Europa, e l’Oriente con il blocco iraniano che fa da muro, l’unica possibilità è estendersi verso Sud. Con la Siria che resta un punto interrogativo e i curdi a fare da grande ostacolo alla sua espansione terrestre, l’alternativa è lo sbocco marittimo, e lo dimostra l’installazione di basi turche in Qatar e nel Corno d’Africa. Basi che hanno non tanto uno scopo militare, quanto quello di imporre la presenza turca in rotte commerciali d’importanza vitale per l’Asia e l’Europa, di cui la Turchia è ponte. Ed Erdogan sa perfettamente che, se vuole mantenere questa linea politica e se vuole stabilire una sua leadership che contrasti, in qualche modo, con quella saudita, l’unica scelta è far cessare la guerra commerciale e diplomatica fra Riad e Doha. O rischia di perdere un alleato importante.