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Nel corso degli ultimi anni, le strategia di politica estera dell’Italia sono tornate a considerare l’Africa nel loro orizzonte. Più che di una scoperta, si è trattato di una riscoperta, in quanto nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale il nostro Paese ha sempre mostrato un attivo interesse per il continente, come testimoniato da attività spazianti tra gli investimenti di Eni in Egitto e la mediazione della Comunità di Sant’Egidio per la pacificazione del Mozambico.

Più recentemente, è sorta la consapevolezza di considerare l’Africa come la “profondità strategica” del nostro Paese, come dichiarato dal viceministro degli Esteri Mario Giro in un’intervista pubblicata sul penultimo numero di LimesL’Africa, sostanzialmente, fornisce il retroterra di sviluppo delle dinamiche che interessano il Mediterraneo, crocevia dei destini geopolitici del nostro Paese, e risulta fondamentale per l’elaborazione strategica della futura postura italiana.

La crescente presenza diplomatica nel continente, l’interesse consistente di grandi player nazionali come Eni o ENEL dall’Egitto al Sudafrica, iniziative di primaria importanza come la visita del Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ad Abdijan nello scorso novembre e la decisione di intervenire in Niger a sostegno della lotta contro trafficanti e jihadisti necessitano di essere incasellati in una “grande strategia” che contribuisca a rafforzare a livello sistemico la presenza italiana in Africa, divenuta fattore fondamentale per la nostra politica estera.

I capisaldi della presenza italiana in Africa

Gian Micalessin ha auspicato che lo schieramento militare italiano in Niger possa aver rappresentato il primo passo di una “strategia globale”; sicuramente, tale scelta testimonia l’acquisita consapevolezza da parte del governo di Roma circa la necessità di considerare a livello sistemico le dinamiche che coinvolgono i Paesi rivieraschi dell’Africa settentrionale e il Sahel.

Libia, Egitto e Algeria rappresentano non solo il “primo fronte” del coinvolgimento italiano in Africa, ma anche il suo epicentro: le istanze securitarie e i legami economici, connessi soprattutto all’approvvigionamento energetico, fanno sì che l’Italia risulti primariamente interessata alla stabilizzazione di questi Paesi.

Considerando la fascia sub-sahariana, oltre al Niger Roma è primariamente interessata a Paesi come l’Etiopia, l’Angola e il Mozambico. Se con Addis Abeba il dialogo è costante, a trainare il rapporto italo-etiopico è soprattutto l’attività di grandi imprese nazionali come Salini, che ha ottenuto l’appalto per la Great Ethiopian Renaissance Dam (GERD), l’imponente diga sul Nilo che dovrà rappresentare la testimonianza più tangibile del frenetico sviluppo del Paese.

Con le ex colonie portoghesi, invece, la relazione è resa speciale dalla somma di interessi economici e convergenze storiche: Eni risulta attiva in entrambi i Paesi nell’ambito della sua strategia globale, ma sia in Angola che in Mozambico il nome dell’Italia è rispettato per il grande contributo giocato, ai tempi della Prima Repubblica, dalle forze politiche dell’arco costituzionale e da numerosi movimenti di base (che hanno avuto nella Reggio Emilia di Giuseppe Soncini il loro epicentro) per la loro emancipazione da Lisbona.

Fare sistema per contare in Africa

Le premesse per un rafforzamento della politica italiana in Africa da parte dei prossimi esecutivi sono state sicuramente costruite nel corso degli ultimi anni. Avere una voce in capitolo nelle dinamiche del continente risulterà determinante per poter, in futuro, comprendere meglio le sfide politico-sociali e le opportunità economiche che i Paesi africani, caratterizzati da tassi di crescita dei prodotti interni e della popolazione notevoli, riserveranno in futuro al resto del mondo.

L’attività italiana in Africa segue oggi le tre direttrici della presenza politico-diplomatica, dell’investimento economico e della cooperazione allo sviluppo. Tra il 2015 e il 2016, il nostro Paese è risultato terzo per investimenti nel continente dopo Cina e Emirati Arabi Uniti, a testimonianza di un interesse economico crescente che il governo ha molto spesso accompagnato, come nel caso degli investimenti Eni in Angola ed Egitto o delle mosse di ENEL in Sudafrica.

A nostro vantaggio gioca sicuramente anche il ruolo proficuo di numerose ONG nel continente: la Comunità di Sant’Egidio e l’organizzazione di aiuto sanitario Medici con l’Africa Cuamm hanno scritto pagine importanti della cooperazione allo sviluppo, contribuendo a progetti di lungo termine apprezzati dalle popolazioni di diversi Paesi africani.

Ora è arrivato il momento di sistematizzare queste importanti esperienze: l’Italia, la cui immagine nel continente è decisamente positiva, ha spazio di manovra per poter contare in maniera crescente in Africa. Per fare sì che ciò accada, risulta necessario dare continuità alle ultime, importanti iniziative e riuscire a costruire una coerente strategia geopolitica per l’Africa che unisca le istanze del business, della diplomazia e delle organizzazioni umanitarie a logiche di carattere securitario e strategico.

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