Il numero tre sembra essere quello del destino della Libia: tre sono le regioni storiche che compongono il paese, tre saranno i componenti del futuro consiglio presidenziale. La riforma, che dovrebbe entrare definitivamente in vigore, sarebbe il primo passo per la formazione di un nuovo esecutivo questa volta riconosciuto da entrambi gli organi più importanti del paese: alto consiglio di Stato, che ha sede a Tripoli, e Camera dei Rappresentanti, che ha sede a Tobruk. I tre membri dovrebbero essere rappresentanti ciascuno delle tre regioni della Libia: Tripolitania, Cirenaica e Fezzan.
Come si è giunti alla riforma
Occorre effettuare un piccolo passo indietro: il 17 dicembre 2015 a Skhirat, in Marocco, viene siglato un accordo tra alcune delle principali fazioni libiche che da più di un anno, a seguito delle contestate elezioni del 2014, non riescono a ridare stabilità al paese. Questo accordo prevede la nascita di un governo di transizione, retto da un consiglio presidenziale formato da nove membri, assieme ad un primo quadro normativo istituzionale. Nasce così sia l’attuale consiglio presidenziale, sia il governo guidato da Al Sarraj. Qualcosa però va storto e la quadra non si chiude: il parlamento di Tobruk non vota al fiducia ad Al Sarraj e considera come unico legittimo esecutivo quello insediato nella città di Al Beyda, sempre in Cirenaica. Anche a Tripoli Al Sarraj incontra iniziali difficoltà, per via della presenza delle forze islamiste di Gwell. L’est diventa quindi sempre più autonomo ed implementa l’alleanza con le forze di Haftar, in Tripolitania regna sempre più il caos. Il tentativo di dare all’esecutivo di Al Sarraj ed al consiglio presidenziale un respiro inclusivo di tutte le parti del paese, fallisce miseramente.
Da qui la proposta, avanzata in sede di Unione Africana, di alcune modifiche degli accordi di Skhirat nel settembre 2017. In particolare, si prevede la riduzione dei membri del consiglio presidenziale da nove a tre e, da qui, l’elezione di un nuovo leader a cui poi conferire il mandato per la formazione di un nuovo esecutivo. Gli sforzi del rappresentante Onu per la Libia, Ghassam Salamé, nell’ultimo anno comprendono per l’appunto i tentativi di far “digerire” questa riforma sia al parlamento di Tobruk che al consiglio di Stato di Tripoli, nato dal precedente parlamento eletto nel 2012. Una mediazione non semplice, tanto che i passi in avanti in questi dodici mesi appaiono essere veramente pochi. Poco prima del vertice di Palermo però arrivano spiragli: il 31 ottobre infatti viene annunciato un accordo tra parlamento di Tobruk e consiglio di Stato. In questo accordo si prevede soprattutto la creazione di tre collegi elettorali in Libia e la composizione di un consiglio presidenziale di tre membri. Ma anche qui arriva un “giallo”: il 26 novembre scorso da Tobruk viene annunciata la ratifica della riforma. Poi però tutto viene clamorosamente smentito: “Non abbiamo raggiunto il quorum“, sottolineano alcuni deputati.
Cosa potrebbe cambiare con il nuovo consiglio presidenziale
Ed in effetti non sembra che ufficialmente la riforma sia passata. Nonostante la pubblicazione degli atti che testimonierebbero la votazione avvenuta, in realtà ad essere presenti il 26 novembre a Tobruk sono meno dei due terzi dei deputati. Dunque fumata bianca – grigiastra e riforma ancora in itinere. Forse, come accennato dal deputato Ali Al Saidi ai nostri microfoni, è l’articolo 8 il nodo principale: secondo quella norma, è il capo del consiglio presidenziale ad essere leader delle forze armate, circostanza questa non certo gradita da Haftar e dunque da buona parte della Camera dei Rappresentanti. Eppure questa riforma appare essenziale se non addirittura vitale per poter far proseguire il percorso verso la stabilizzazione del paese. In ballo c’è la concreta possibilità di unificare almeno le istituzioni che fanno capo all’esecutivo ed avere un governo riconosciuto dagli attori principali operanti in Libia.
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L’obiettivo di Salamé, ma anche dell’interno corpo diplomatico delle Nazioni Unite e non solo, è quello di far passare definitivamente la riforma entro i primi mesi del 2019. Data cruciale al momento sarebbe rappresentata dalla conferenza nazionale da tenere in Libia, che vede sorgere i primi passi a margine del summit di Palermo. O poco prima o poco dopo la conferenza, la riforma secondo i piani dell’Onu deve essere esecutiva. Sarebbe un modo per iniziare a parlare della formazione di un nuovo governo per traghettare la Libia alle elezioni. È chiaro inoltre che nel momento in cui la riforma diventa esecutiva, per Al Sarraj non ci sarebbe più spazio. Difficile che da Tripoli si faccia il suo nome per il seggio riservato alla regione occidentale all’interno del nuovo consiglio.
Per il sud e l’est del paese invece circolano già i primi nomi. Tobruk, qualora il parlamento approvi le nuove norme, designerebbe il presidente della Camera Aguilla Saleh, dal Fezzan invece circola il nome di una vecchia conoscenza: Abdel Rahman Shalgham, ex ministro degli esteri di Gheddafi dal 2000 al 2009. Due figure di “esperienza”, a cui non mancano certamente collegamenti con la passata era del rais. Ma, prima di vedere nero su bianco i nomi, dalla Cirenaica si aspetta di capire il destino di una delle riforme più delicate per il futuro della Libia.