In Libia la guerra al terrorismo islamico è una delle tante sfaccettature del conflitto. Mentre infuria la guerra per chi avrà la leadership del Paese, l’Esercito nazionale libico ha catturato a Derna nel quartiere di Al Maghar, Hisham al Ashmawy, uno dei terroristi più ricercati di tutto il Nordafrica e condannato a morte dalle autorità dell’Egitto. A rendere nota la cattura è stato direttamente l’Esercito pubblicando le foto dell’uomo.

Sono molte le operazioni attribuite ad al-Ashmawy. Tra esse, particolare importanza hanno l’attacco del 2013 contro il quartier generale dell’intelligence ad Ismailia, l’attentato terroristico contro la Direzione della Sicurezza di Dakahlia, sempre nel 2013, e l’attentato realizzato alla Direzione della Sicurezza del Cairo nel gennaio 2014.

Nel luglio 2014, durante un attacco contro l’esercito egiziano nell’oasi di Farafra, è rimasto ferito. Da quel momento, l’uomo si è rifugiato in Libia, dove si è unito ad Ansar Al-Sharia a Derna, roccaforte jihadista nell’oriente libico. Nel luglio 2015 il passaggio ad Al-Qaeda. Al-Ashmawy inviò infatti un comunicato in cui annunciava di essere diventato l’emiro di Al-Murabitun, affiliandosi all’organizzazione del terrore.

L’arresto è è particolarmente importante. Non solo per l’uomo catturato, ma anche per chi l’ha compiuto, dove e per le potenze coinvolte nel suo arresto. A catturare il terrorista sono state le forze dell’autoproclamato Esercito nazionale libico: le truppe fedeli al generale Khalifa Haftar.  E questo indica anche la volontà dell’uomo forte della Cirenaica di mostrarsi perfettamente in grado di controllare il territorio in cui combatte e di essere in linea con la lotta al terrorismo delle potenze internazionali coinvolte nella guerra di Libia.

Un messaggio politico quindi, cui si aggiunge uno di natura internazionale. L’arresto di Ashmawy è infatti un grosso “regalo” da parte di Haftar all’Egitto. Un Paese che da sempre sostiene Haftar e che lo supporta a livello militare in tutto il confine occidentale. Le autorità egiziane ne hanno già chiesto l’estradizione. Non solo lo vogliono per eseguire la condanna a morte, ma anche perché lo ritengono la mente della strage avvenuta il 20 ottobre del 2017 ad al-Wahat, nel quale hanno perso la vita almeno 58 uomini della sicurezza egiziana.

Ma c’è un messaggio anche ulteriore, inviato a tutte le altre forze presenti in Libia. Haftar sta crescendo nel consenso interazionale. E la lotta al terrorismo jihadista rappresenta una delle chiavi per mostrarsi utile di fronte alla comunità internazionale. Gli Stati Uniti sono presenti in Libia formalmente proprio per sconfiggere le cellule di Al Qaeda e dello Stato islamico.

I raid americani sono aumentati negli ultimi tempi. E nonostante il silenzio che caratterizza la guerra statunitense nel Paese nordafricano, dal 2011 ad oggi soltanto i bombardamenti Usa avvenuti con i droni sono stati più di 500. Haftar non è un alleato di Washington: ma i suoi legami con gli Stati Uniti, soprattutto nel passato, sono stati intensi. E questo lo rende di fatto un uomo utile anche alla Casa Bianca.

Ma tra i sostenitori di Haftar non va dimenticata la Russia. Vladimir Putin, impegnato nella guerra a Daesh in Siria, non è impegnato con i suoi uomini in Libia, ma considera il Paese un altro terreno per strappare posizioni di vantaggio nel Mediterraneo. La lotta al terrorismo islamico interessa particolarmente il Cremlino, così come interessa Derna, dove qualcuno ha ipotizzato anche una possibile base operativa russa. E proprio lì, lo jihadismo incalza ed è stato il teatro dell’arresto del terrorista.

Infine, un segnale anche alle forze europee: Haftar si sta giocando tutto e vuole conquistare il trono della Libia. Appoggiato dalla Francia di Emmanuel Macron, il maresciallo della Cirenaica vuole mostrarsi un uomo perfettamente in grado di garantire la sicurezza dell’Unione europea per avere il placet dei Paesi del Vecchio Continente. L’arresto di Al-Ashmawy è un segnale. Con il leader dell’Esercito nazionale libico, il terrorismo può essere sconfitto. E dopo l’annuncio di Ghassan Salamè sull’infiltrazione jihadista a Tripoli, il messaggio è chiaro: Fayez al-Sarraj non è più un leader utile alla lotta al terrore.

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