Il Libano è in una crisi politica e sociale sempre più profonda e nonostante la formazione del nuovo governo, composto da tecnici vicini ai vecchi partiti politici, non sarà affatto facile uscirne. Per comprendere cosa sta accadendo abbiamo intervistato Tracy Chamoun ex diplomatico e politico libanese. Tracy è la nipote dell’ex presidente del Libano, Camille Chamoun. Suo padre era un politico e fu assassinato nel 1990 con sua moglie e i due fratelli di Tracy, che all’epoca avevano 5 e 7 anni. Fu uno dei crimini più brutali associati alla guerra civile libanese. Tracy Chamoun è una politica libanese e attivista per la pace. È stata fondatrice e prima presidente del Partito Liberal Democratico libanese (LDP) dal 2012 al 2016. Tracy è la prima donna fondatrice nella storia di un partito politico arabo. È un’attivista per la pace e sostiene il dialogo e i principi della risoluzione non violenta dei conflitti. Come tale, è una sostenitrice dell’apertura verso tutti i gruppi politici al fine di costruire consenso e combattere la sfiducia tra le fazioni. Chamoun sta portando avanti, in vista delle prossime elezioni parlamentari, una battaglia a favore del voto di coscienza, slegato dal sistema clientelare e affaristico libanese e intende candidarsi alle prossime elezioni presidenziali.
Cosa sta accadendo in Libano?
I vecchi partiti corrotti hanno creato nuove formule per rimanere al potere e continuare ad approfittare del sistema. Questo grazie al fatto che mancano veri leader tra i movimenti della società civile che hanno portato avanti la rivoluzione degli ultimi anni. In una prima fase avevano tentato di cambiare qualcosa in apparenza, per far in modo che in realtà non cambiasse nulla. Per esempio avevano messo qualche donna in alcuni ministeri. Ma ora hanno rinunciato pure all’apparenza e stanno attaccati al loro potere.
I nuovi movimenti che speranze hanno di cambiare la politica libanese?
Riuscire a portare avanti una transizione tra il vecchio sistema e uno nuovo non sarà affatto semplice. Il problema è che la maggior parte dei rivoluzionari sono professionisti che non hanno saputo trasformarsi in leader politici e questo, in un sistema come quello libanese, non è un problema da poco. Infatti, solo le città sono figlie di una cultura liberale, ma i paesi e le campagne sono figlie di un sistema tradizionale, ancora clientelare, in cui si comprano voti in cambio di lavoro e altri benefit. I gruppi della società civile pensano di potere cambiare il sistema attraverso le prossime elezioni parlamentari, ma per sconfiggere un sistema del genere serve molto radicamento sul territorio ed essere conosciuti. Alle ultime elezioni parlamentari vi sono stati tantissimi candidati nuovi, ma non li conosceva nessuno e l’unica parlamentare indipendente eletta è stata la giornalista Paula Yacoubian perché era un volto conosciuto. I rivoluzionari hanno quindi un grande svantaggio. L’unica cosa che è veramente cambiata e che potrebbe giocare a vantaggio dei rivoluzionari e dei nuovi partiti politici, è la grande rabbia sociale dovuta alla crisi drammatica che il paese sta vivendo. Sarà soprattutto nella comunità cristiana che ci saranno forti spinte a favore di nuovi partiti, ma se la giocheranno con il vecchio partito delle Forze Libanesi che probabilmente avrà molti voti. Tra i sunniti si vede una certa voglia di cambiamento a Tripoli e a Saida, ma sarà molto più difficile tra l’elettorato sciita. Perché è una comunità gestita tra Amal e Hezbollah e avere candidati indipendenti che si candidino e possano vincere in una comunità controllata in modo perfino più clientelare delle altre sarà molto difficile.
Vi sono politici della vecchia guardia che potrebbero allearsi con le forze che chiedono il cambiamento?
Alcuni politici del vecchio mondo e che ne sono usciti in tempo, potrebbero dare una mano ai nuovi movimenti, facendo da traino nei collegi fuori dalle grandi città. Alcuni movimenti nati dalla rivoluzione stanno pensando a inserirne alcuni come capi lista.
Il Libano è starò sempre considerato un paese benestante, è ancora così?
Non sono d’accordo con chi dice che il Libano sia un paese ricco, la ricchezza è apparente, vi sono moltissimi poveri, l’industria non è molto sviluppata, l’agricoltura è molto arretrata, importiamo quasi tutto, abbiamo perso il porto di Beirut a seguito dell’esplosione. Basti poi pensare agli accordi che Israele ha raggiunto con gli Emirati e altri paesi della regione, per capire la debolezza economica del Libano in confronto ad altre nazioni. Non abbiamo risorse naturali, eccetto per il gas e il petrolio, che però non sono ancora sfruttati. La ricchezza del paese è quindi un mito e ora lo si vede chiaramente. Tutti hanno perso i soldi, congelati dalle banche. È chiaro che non vi è alcuno sforzo del governo per trovare, dopo un anno e mezzo, un accordo con le istituzioni internazionali per risolvere il problema. In più manca ormai l’elettricità per molte ore al giorno a causa della politica scellerata dei politici che non hanno mai sviluppato il settore dell’energia elettrica e hanno sempre favorito piccoli interessi di parte. Manca la benzina perché non abbiamo più dollari per comprarla e le multinazionali non accettano pagamenti in lire libanesi che non hanno più alcun valore nei mercati internazionali. Siamo in balìa di tante piccole mafie che si sono appropriate dello stato. Stato che ha deciso di lasciarli spazio. Anche la pubblica amministrazione è completamente inefficiente, i dipendenti sono assunti solo per motivi clientelari. Oggi non ci sono più nemmeno i soldi per pagare i loro stipendi o per intraprendere qualunque progetto. Ormai lo stato è allo sbando più totale.
Che riforme si potrebbero fare?
Ci sono tantissime piccole riforme costituzionali e non, che si potrebbero fare. Per esempio si potrebbe creare un Senato eletto su basi confessionali e un Parlamento eletto senza alcuna restrizione. C’è molta volontà nel paese di smontare la cultura del capo clan legato alle comunità religiose. Oggi c’è molta voglia di non aver più paura delle differenze, ma di celebrarle perché sono una ricchezza del Libano che non impedisce affatto di cercare dei punti in comune su cui ricostruire lo Stato. Per esempio l’efficienza della pubblica amministrazione, una buona capacità di dare servizi pubblici o di attrarre investimenti internazionali. Qualunque cittadino libanese sarebbe felicissimo di avere uno stato che gli dia servizi e lo protegga. Se questo stato ci fosse non avrebbero più bisogno della protezione di un capo clan. La paura dell’altro è l’arma che questi capi clan utilizzano per mette benzina al motore del sistema settario. In più, paesi come l’Iran giocano una partita geopolitica armando Hezbollah, ma questo non deve essere utilizzato come scusa per non fermare la corruzione, il disfacimento dello Stato, la povertà, gli scandali. Si può iniziare da qui, in attesa di risolvere i conflitti geopolitici regionali.
Il fattore religioso è superato o rimane divisivo?
Molte delle divisioni religiose sono istigate per creare crisi geopolitiche utili a varie potenze regionali e internazionali o a politici di turno, servono per fratturare la società. Basti pensare a quello che è avvenuto in Siria. Molti temevano che il Libano potesse precipitare anch’esso in guerra. Ma per fortuna allo scoppiare della guerra civile siriana c’era ancora una forte memoria collettiva della guerra civile libanese e questo ha impedito al paese di essere trascinato nel caos dei paesi confinanti. Noi libanesi di terza generazione abbiamo ormai un’identità, un vissuto comune che ci rende libanesi al di là della religione, anche se i politici fanno di tutto di per non farcelo credere.
Bisogna creare un nuovo pensiero politico?
Non serve nemmeno creare nuove ideologie o filosofie politiche per salvare il paese, basterebbe una politica delle piccole cose, una politica che renda presente ed efficiente lo Stato, una politica che protegga i suoi cittadini. Bisogna garantire i diritti di cittadinanza e la competenza. Anche con Hezbollah, bisogna avere posizioni forti, chiarendo che non deve trascinare il paese in conflitti con o nei paesi confinanti e che deve rispettare la volontà di pace dei libanesi. Se accetta questo, io non ho alcun problema a parlare con i suoi dirigenti. Soprattutto bisogna parlare con i cittadini di religione sciita, che considero una parte fondamentale del paese, come tutte le altre comunità. Hezbollah deve però evitare di prendere in modo isolato posizioni che possano mettere in pericolo l’esistenza stessa dello Stato. Dopo la guerra civile siamo rimasti prigionieri dei signori della guerra che hanno monopolizzato anche la politica del dopo guerra, ora però il sistema si è decomposto. Probabilmente è una fase necessaria perché la situazione possa cambiare. Non sono né ottimista né pessimista, vivo di giorno in giorno.
Quali sono le prime riforme che farebbe?
Principalmente bisogna uscire da questa tremenda crisi economica e finanziaria, bisogna avere una strategia di salvezza e difesa nazionale. Una strategia contro la povertà, di rinascita economica, di politica estera. Il rilancio dell’economia, attraverso l’apertura del paese agli investimenti stranieri e grazie al ritorno della fiducia internazionale verso il Libano, è la prima sfida da vincere. Poi servono riforme costituzionali, non serve riformare tutto in modo radicale, bastano piccole riforme per rimettere in moto il motore del paese. Bisogna per esempio evitare i periodi di vuoto di potere, situazione che paralizza la politica libanese da sempre o che il parlamento possa allungare il suo mandato oltre la scadenza. I problemi sono grandi ma noti e quindi vanno solo risolti. Non servono riforme radicali, ma semplicemente implementare in modo efficiente quello che si decide, evitando che interessi oscuri blocchino tutto attraverso un esteso sistema di corruzione e di clientelarismo.
Il vecchio sistema politico e clientelare lo permetterà?
Ci sono persone dei vecchi partiti e del vecchio sistema che hanno capito che il vento è cambiato. Credo che alcuni di loro siano pronti a lasciare il potere se glielo si fa capire in modo rispettoso ma netto e franco. Anche se non sarà affatto semplice farlo capire all’intero vecchio sistema di potere, si tratta di una partita aperta.