Da settimane ormai, il Covid-19 sta mettendo sotto scacco, uno dopo l’altro, tutti i Paesi del mondo. Lento ma inesorabile, questo nemico invisibile e letale si sta diffondendo anche nella sponda sud del Mediterraneo, in Libano.

Un’ “emergenza nell’emergenza” per il Paese dei Cedri, che da mesi vive una crisi economica e finanziaria senza precedenti. A un passo dal fallimento, il 7 marzo scorso, il Libano, per bocca del primo ministro, Hassan Diab, ha dichiarato di non essere più in grado di onorare il proprio debito pubblico.

Soltanto pochi giorni dopo, la situazione è precipitata ulteriormente: il 15 marzo è stato dichiarato lo stato di emergenza sanitaria, una misura che sta mettendo a dura prova il sistema sanitario libanese, già al collasso a causa dell’alto numero di rifugiati siriani presenti nel Paese (circa 1,5 milioni).

Il provvedimento, già adottato in molti altri Paesi – tra i quali l’Italia -, teso ad arginare l’inesorabile avanzata del Covid-19 è particolarmente necessario in Libano, dove il virus avrebbe già contagiato 333 persone e mietuto sei vittime.

Il piano di Hezbollah

Anche Hezbollah ha deciso di scendere in campo per contrastare i contagi. Il 25 marzo, in diretta televisiva sul canale Al-Manar, il capo del Consiglio esecutivo di Hezbollah, Sayyed Hashem Safieddine, ha annunciato l’adozione di un piano di emergenza “complementare a quello previsto dal Ministero della Salute pubblica libanese”.

Il pacchetto – per il quale sarebbero già stati stanziati l’equivalente di più di due milioni di dollari – prevede la mobilitazione di circa 25 mila membri attivi dell’organizzazione, generalmente impiegati nella “resistenza”. Nel dettaglio, 1.500 medici di prima linea, 3 mila tra infermieri e paramedici e altri 20 mila operatori umanitari.

Non solo: il piano di Hezbollah include anche la gestione di alcune strutture sanitarie. L’organizzazione, infatti, ha destinato un ospedale di Beirut – in suo possesso – al trattamento esclusivo dei pazienti affetti da Covid-19 e ha affittato quattro ospedali in disuso, adeguandoli al ricovero dei malati, nonché alcuni alberghi destinati ad ospitare i contagiati in quarantena. Infine, Hezbollah ha allestito 32 centri sanitari e predisposto progetti per la realizzazione di tre ospedali da campo.

L’intervento avrebbe raggiunto, al momento, solo alcune aree del Paese – in particolare la valle della Beqa’ e la periferia sud di Beirut – in cui l’organizzazione gode di un ampio consenso sociale. Le attività messe in atto rispetteranno, sempre a detta di Safieddine, i protocolli diffusi dall’Organizzazione mondiale della sanità e dal Ministero della Salute Pubblica libanese.

Dalla proxy war al Covid-19

“È una vera e propria guerra, che dobbiamo affrontare con la mentalità da combattenti” – ha dichiarato il capo del Consiglio esecutivo di Hezbollah – “Gestire una crisi non è poi tanto diverso dal gestire una guerra”.

Contro il Covid-19, dunque, i membri dell’organizzazione sarebbero pronti ad applicare l’esperienza militare recentemente acquisita nei teatri siriano, iracheno e yemenita. La squadra di Hezbollah, infatti, sarebbe composta da personale ben addestrato nella gestione delle catastrofi, oltre che da affiliati che avrebbero seguito appositi “corsi di formazione contro il coronavirus”.

Le tensioni settarie

Un effetto collaterale della pandemia sarebbe, invece, l’acuirsi delle tensioni settarie nel Paese. Gli oppositori di Hezbollah, infatti, avrebbero già politicizzato il Covid-19, trasformandolo in un motivo di propaganda contro l’organizzazione e il suo legame con l’Iran.

Sarebbe stata proprio la relazione profonda tra Hezbollah e Teheran – secondo questa visione – a diffondere il virus in Libano. I voli provenienti dall’Iran – uno dei Paesi maggiormente colpiti dal virus -, infatti, sarebbero stati bloccati soltanto a metà marzo: troppo tardi per impedire la diffusione del contagio.

A conferma di ciò, la provenienza del paziente zero libanese. Si tratterebbe, infatti, di una donna rientrata in Libano proprio dalla Repubblica islamica. Oltre a lei, i medici libanesi starebbero monitorando almeno 1.200 perone provenienti dall’Iran, tra i quali numerosi pellegrini e circa 220 studenti del centro di formazione sciita di Qom.

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