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Ci sono dei paradossi che soltanto il medio oriente è in grado di offrire. Succede infatti che in Libano, paese storicamente segnato dalle divisioni confessionali, per garantire un certo equilibrio vi sono leggi non scritte che assegnano, a ciascuna comunità, un determinato incarico. Ad esempio, il premier deve essere sunnita, il presidente un cristiano maronita, il presidente del parlamento invece sciita. E fin qui, nulla di (apparentemente) strano. Fino a quando però non ci si accorge che, una volta individuato, dopo le dimissioni Saad Hariri, un nuovo premier sunnita quest’ultimo viene votato da sciiti e cristiani e risulta invece inviso agli stessi sunniti. Hassan Diab nelle scorse ore è stato nominato premier e rischia di diventare il primo capo dell’esecutivo sunnita non amico dei sunniti.

Il Libano verso una nuova polarizzazione dello scenario parlamentare

Saad Hariri, figlio dello storico leader sunnita Rafiq Hariri, si è dimesso nello scorso mese di ottobre sull’onda delle proteste che stanno attanagliando il paese dei cedri. Caro vita, economica bloccata, corruzione e mancanza di prospettive per il futuro sono piaghe troppo gravi da sopportare per una popolazione che adesso chiede profondi cambiamenti. C’è però un elemento da tenere in considerazione quando si parla di questa regione: la stabilità. Il governo di Hariri, bloccato tra veti e dispute interne ai partiti, non ha mai dato impulso alle riforme di cui il Libano avrebbe bisogno. Tuttavia, ha sempre rappresentato una garanzia per la sua stabilità. L’esecutivo era di fatto di unità nazionale: al suo interno c’erano sunniti, sciiti (compresi quelli di Hezbollah) e cristiano maroniti. Equilibri delicati, difficili da curare in caso di stravolgimento del quadro politico.

Per questo il via libera all’incarico per Hassan Diab non solo non ha placato gli animi dei manifestanti, che considerano il professore neo designato come un membro organico al sistema, ma ha anche acceso non poche preoccupazioni in seno al parlamento libanese. La sua nomina è infatti figlia di un voto tra deputati, il cui esito è stato ben lontano dal raggiungere anche una minima parvenza di unità nazionale. Diab è stato voluto soprattutto dagli sciiti di Hezbollah e di Amal, oltre che dai cristiani del movimento dei Patrioti Liberi. A questi si sono aggiunte altre formazioni minori e soltanto cinque deputati sunniti. Fuori invece dall’accordo per l’esecutivo il partito dell’ex premier Hariri, così come i drusi della formazione guidata da Walid Jumblat. Due pesi massimi della politica libanese, rappresentanti politici di due distinte comunità confessionali, potrebbero rimanere fuori. Il nascente governo Diab sembrerebbe dunque destinato ad essere un esecutivo figlio di una determinata maggioranza, con la prospettiva di un ritorno alla polarizzazione dello scenario parlamentare visto come spauracchio da chi teme pericoli per la stabilità del paese.

Le possibili conseguenze per gli equilibri del Medio Oriente

Ma quanto accade in Libano non è importante solo per le vicende tutte interne al paese dei cedri. Beirut appare un crocevia importante per gli equilibri dell’infuocata regione mediorientale. La stabilità garantita dal governo di Hariri garantiva a sua volta anche quegli attori internazionali ritenuti vicini ai vari partiti libanesi. Lo stesso ex premier era uomo di fiducia dei sauditi, avendo peraltro anche cittadinanza saudita ed una parte della famiglia operante nel regno dei Saud. Nel novembre 2017, da Riad hanno provato ad imporre le dimissioni d Hariri, con la finalità di estromettere dal governo gli Hezbollah. Quando l’operazione non è andata in porto, i sauditi hanno capito che era meglio mantenere lo status quo. L’Iran a sua volta si sentiva garantito dalla presenza dei partiti sciiti all’interno dell’esecutivo, tanto che da Teheran le dimissioni di Hariri non sono state salutate positivamente. Situazioni che ben fanno capire, ancora una volta, l’intricato puzzle di equilibri e contrappesi che ha da sempre caratterizzato la politica libanese.

Ecco perché un possibile governo espressione di una semplice maggioranza non è ben visto, specie all’estero. Per di più, la maggioranza in questione sarebbe retta da Hezbollah ed Amal, ponendo il nascente esecutivo Diab più orientato verso la comunità sciita che quella sunnita. E questo, come detto ad inizio articolo, nonostante Diab sia sunnita. Il fatto che il prossimo governo stanziato a Beirut possa essere sbilanciato verso forze ritenute filo iraniane, non mancherà di richiamare le attenzioni dei vari attori regionali. Il paradosso emerso in Libano quindi, già nei prossimi giorni potrebbe aggiungere ulteriori preoccupazioni in una regione, quale quella mediorientale, già segnata da forte instabilità. Altra possibile benzina su fiamme potenzialmente più alte.

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