Il Brasile si appresta a vivere la giornata più lunga degli ultimi anni, in cui circa 150 milioni di elettori saranno chiamati a votare per scegliere il nuovo presidente, i membri dell’Assemblea Nazionale e i governatori e gli organi legislativi degli Stati federali. Il Brasile arriva stremato all’appuntamento, dopo un quadriennio di recessione economica segnato dall’avvicendamento tempestoso al potere tra la presidentessa eletta Dilma Rousseff e il vicepresidente Michel Temer, precipitato nei sondaggi di gradimento dopo esser stato travolto dall’onda lunga dell’inchiesta Lava Jato e non ripresentatosi alla prova del voto.
Dopo una recessione del 3,5% nel 2015 e nel 2016, il Pil del Brasile è cresciuto dell’1% nel 2017, ma ciò non basta per dichiarare superata una crisi che appare strutturale, in cui alla delegittimazione dei partiti si è aggiunta l’esasperazione di una classe media duramente colpita nel suo stile di vita, nelle sue prospettive future, nella sua sicurezza economica, il crescente timore per la violenza endemica (63.880 omicidi nel solo 2017) e l’incertezza sulla tenuta stessa di una democrazia minata alle basi e minacciata dall’influenza tentacolare dei grandi gruppi mediatici, della finanza e dei militari.
La sfida Bolsonaro-Haddad in vista del secondo turno
La lunga campagna elettorale per le elezioni, partita con una costellazione pulviscolare di formazioni inchiodate su percentuali limitate nei sondaggi, ha visto poi emergere, nella competizione presidenziale che detta i ritmi a tutte le altre, la figura divisiva di Jair Bolsonaro, l’ex militare leader del Partito Social-Liberale, fautore di posizioni radicali e inquadrabili nella cornice politica dell’estrema destra su temi securitari e apertamente pro-mercato in campo economico. Il tentativo di omicidio dello stesso Bolsonaro, il 6 settembre scorso, gli ha impedito di concludere la campagna elettorale ma non di arrestare una crescita nei sondaggi che lo ha portato ad essere il favorito per il primo turno, con consensi stabilmente oltre il 30%.
Inizialmente, pareva sarebbe stato l’ex presidente Lula l’avversario designato che la sinistra del Partito dei Lavoratori avrebbe opposto a Bolsonaro per riconquistare il governo del Brasile. Tuttavia, le vicende giudiziarie del popolare ex Presidente gli hanno impedito di scendere in campo e hanno imposto la sostituzione in extremis con Fernando Haddad, 55enne ex sindaco di San Paolo che nei sondaggi è saldamente attestato al secondo posto dopo una campagna elettorale dispiegata in poco meno di un mese, staccato da Bolsonaro ma pressoché certo di conquistare il secondo posto che consente l’accesso al ballottaggio, davanti a una vasta pletora di candidati di posizione moderate come l’ex Ministro delle Finanze Ciro Gomes e il socialdemocratico Geraldo Alckmin.
Due visioni del Paese a confronto
Quella che, prevedibilmente, andrà in scena nel ballottaggio sarà una vera e propria “battaglia finale” tra due visioni opposte del Paese. Da un lato, Haddad punta a recuperare le politiche espansive di spesa pubblica e ampliamento delle tutele sociali del lulismo delle origini, coincise con la più grande campagna di contrasto alla povertà della storia latinoamericana, con un drastico crollo dei tassi di analfabetismo e abbandono scolastico ma, al tempo stesso, con la sovrapposizione tra l’apparato di potere del Paese e il Pt stesso.
Dall’altro, il controverso Bolsonaro interpreta con la sua ascesa la rabbia di una classe media che si è sentita abbandonata e tradita. Veicolata attraverso i social network e i telepredicatori evangelici fautori del “Vangelo della prosperità”, la sua agenda politica è di matrice spiccatamente neoliberista sul piano economico, contiene la proposta di eliminare numerosi sussidi sociali e leggi di discriminazione positiva a favore delle minoranze e tenta di offrire in una svolta securitaria estrema la risposta al problema della criminalità.
Con Bolsonaro, inoltre, il Brasile rilegge la sua storia recente: il candidato di destra ha rivalutato l’esperienza storica dell’ultima dittatura militare (1964-1985) e gode dello scoperto appoggio dei militari. Come scritto da Carlo Cauti sull’ultimo numero di Limes, “saltuariamente, alcuni generali parlano apertamente della possibilità di un’azione militare nel caso in cui il Paese non prenda la giusta strada”. Questo è il caso del generale Antonio Mourao, “che lo scorso anno ha ventilato questa ipotesi durante una riunione pubblica in una loggia massonica di Brasilia” ed ora è il candidato vicepresidente scelto da Bolsonaro.
Ai militari, Bolsonaro aggiunge il sostegno degli evangelici, pronti a essere centrali in un Congresso destinato a rivelarsi il più reazionario di sempre, mentre Haddad punta a sfondare nelle fasce più vulnerabili della popolazione, che intende riconquistare al Pt.
La finanza sceglie Bolsonaro per guidare il Brasile
Come scrive L’Indro, “Il mondo economico, che sembrava inizialmente guardare con interesse i candidati centristi, visto l’andamento della campagna hanno puntato su Bolsonaro, secondo alcuni conservatori considerato ‘il male minore’ tra tutti i possibili presidenti”.
Bolsonaro intende portare all’estremo le politiche neoliberiste avviate senza particolare successo dall’attuale Presidente Temer e iniziare da una colossale vendita di asset e imprese pubbliche, come il colosso energetico Petrobrás. Portando avanti politiche esattamente opposte a quelle con cui Lula ha garantito, a inizio secolo, progresso e stabilità al Brasile.
Il candidato di destra, secondo diversi analisti, “ha conquistato il mondo dell’economia e della finanza brasiliano grazie al suo consigliere economico già indicato come suo super ministro dell’economia, Paulo Guedes, economista ultra-liberale della scuola di Chicago”, che ha promesso di ottenere decine di miliardi di dollari dalle privatizzazioni.
Secondo l’ex deputato del Pci ed esperto di questioni internazionali Agostino Spataro, l’agenda economica di Bolsonaro rappresenta un’involuzione inquietante per il Brasile: “Ormai è chiaro che in America latina multinazionali e oligarchie nazionali vanno dritte al sodo: non vogliono il dialogo con le parti sociali, ma lo scontro per riappropriarsi del potere politico e delle risorse strategiche latinoamericane: idrocarburi, acqua, terre e produzioni alimentari, litio, rame, ecc. Anche a costo dimettere a rischio il forzoso equilibrio fra gruppi (dominanti) di origine europea e popolazioni indigene povere ed emarginate”.
Ed è questo il grande paradosso delle contraddizioni che animano un Brasile incerto che arriva stremato al voto: il più importante portavoce politico della rabbia e del giustificato malcontento di decine di milioni di persone è un uomo che, con le sue proposte politiche, poco potrà fare per risolvere una crisi che ha creato 13 milioni di disoccupati e odiose disuguaglianze, e potrebbe addirittura aggravarla polarizzando la società. Nulla potrebbe rappresentare meglio le enormi incertezze che attanagliano il Brasile nel suo giorno più lungo.