L’Fbi avrebbe aperto un’inchiesta sui siti comunemente denominati “far-right”, per comprendere se questi possano aver contribuito alle presunte interferenze della Russia durante la campagna presidenziale del 2016. A riportare la notizia è stato The Hill nella giornata del 20 marzo, poche ore dopo l’audizione di James Comey che ha confermato l’inchiesta federale sul rapporto tra Donald Trump e Russia in merito alle elezioni americane . Ci sarebbe, insomma, una commistione tra l’alt-right americana, le sue piattaforme di riferimento e il Russiagate che sta occupando la maggior parte dello spazio tra i media statunitensi, l’indagine, appunto, sulle possibili alterazioni elettorali operate dal governo russo.

L’inchiesta sui siti del’alt-right, nello specifico, sarebbe incentrata sul capire se l’utilizzo di queste cabine di regia conservatrici possa essere servito ai russi a far filtrare notizie, annoverabili nel genere delle “fake news”, utili per accrescere il consenso di Trump. Le fonti citate dall’articolo del quotidiano americano sostengono che la divisione controspionaggio dell’FBI starebbe guidando le indagini e che la questione centrale sarebbe legata all’utilizzo dei bots , usati per operare dei veri e propri blitz sui social media ed utili per diffondere storie a favore di Trump. Questi bots sarebbero stati usati soprattutto su Facebook e Twitter e sarebbero stati correlati a dei link rimandanti, poi, a  contenuti provenienti dai media dell’alt-right e della propaganda pro Putin in occidente. Tra i siti al centro dell’indagine ci sarebbero:Breitbart News, Infowars, RT e Sputnik News.  Le fonti riguardo questa notizia asseriscono che una voce interna all’intelligence, rimasta anonima per la delicatezza della materia, avrebbe detto che questa potrebbe rappresentare una delle operazioni maggiormente d’impatto nella storia della spionaggio. Il tutto emerge poche ore dopo l’audizione di Comey al congresso che ha confermato l’esistenza di un’inchiesta sui presunti legami tra Trump e la Russia nel corso della campagna elettorale appena trascorsa. Al fine di una lettura corretta sulla situazione dei media in Usa, sarà bene evidenziare come una delle grandi questioni della campagna presidenziale sia stata, di contro, una sorta di attenzione monopolizzatrice dei media tradizionali a sostegno di Hilary Clinton, una leva, peraltro, su cui l’attuale presidente degli Stati Uniti d’America ha sollevato più di una polemica vincente per la sua strategia elettorale.

Un interessante articolo sul Foglio a firma di Daniele Scalea, esemplificativamente, aveva messo all’ora in evidenza come il sistema dei media statunitensi avesse subito una profonda trasformazione nel corso degli ultimi trent’anni. La tanto decantata indipendenza della stampa americana, insomma, è rimasta solo negli annali e nella storiografia da quando, durante gli anni Ottanta,  il 90% dei media presenti negli States, era sotto il controllo di 50 società di comunicazione. Durante la scorsa campagna elettorale, invece, la stessa quota è controllata da soli  gruppi: CBS, Comcast, News Corporation, Time Warner, Viacon e Walt Disney. Queste sei realtà si sono distinte nel corso del 2016 per un fervente sostegno mediatico ai democratici ed alla Clinton. Insomma, si apre un’inchiesta dell’FBI sui siti dell’alt-right, ma un altro accenno che andrebbe fatto, almeno in termini giornalistici, è sulla reale capacità del sistema mediatico americano di essere minimamente indipendente.

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