La linea iniziale tenuta dall’Unione europea lasciava pensare ad un cambiamento epocale nella gestione delle migrazioni irregolari – almeno per quanto riguarda la rotta balcanica – e dei rapporti tra Bruxelles ed Ankara. In seguito, un nemico più potente si è introdotto all’interno dell’Europa, la pandemia di Covid-19, distogliendo l’attenzione dai fatti che si sono svolti lungo il piccolo braccio di frontiera che separa la Grecia dalla Turchia; e attaccata su più fronti, l’Unione europea non ha potuto fare altro che firmare la sua resa nei confronti del “sultano” Recep Tayyip Erdogan.

L’Europa concede nuovi fondi ad Ankara

Affinché Erdogan continui ad occuparsi dell’ondata umana di profughi provenienti dalla Siria ed impedire loro di riversarsi sulle isole dell’Egeo e lungo il confine terrestre con la Grecia, l’Europa aumenterà i fondi elargiti alla Turchia. Come riportato dal quotidiano tedesco Der Spiegelil vertice a distanza tra Erdogan, Angela Merkel, Emmanuel Macron e Boris Johnson ha portato i leader europei ed il primo ministro del Regno Unito ad ascoltare le richieste della Turchia, nella speranza che il flusso migratorio venga nuovamente fermato.

In questo modo, però, i Paesi dell’Europa hanno capitolato in questa guerra a distanza, cedendo ai ricatti portati avanti dalla controparte turca ed affidandogli ancora una volta la propria fiducia; nonostante in più occasioni sia stata tradita.

Non è chiaro al momento se alla base della decisione ci sia una reale fiducia nei confronti di Ankara o se semplicemente l’idea di portare avanti una battaglia su più fronti sia stata considerata una possibilità da evitare. In ogni caso, il lungo braccio di ferro vinto dalla Turchia evidenzia ancora una volta quanto – internazionalmente parlando – la forza contrattuale dell’Europa sia sostanzialmente uguale a zero.

Rischiamo di ricadere nella trappola turca

La scelta dei politici europei – nel quale vertice il primo ministro italiano Giuseppe Conte non è stato convocato – espone però ancora una volta l’Europa alle volontà della Turchia, la quale ormai ha capito di tenere Bruxelles nel proprio pugno. Ogni qual volta infatti Erdogan voglia portare a casa un obiettivo, è sufficiente aprire le frontiere che i politici europei si rivelano disponibili ad accontentare ogni suo capriccio: in una situazione che protratta nel tempo rischia davvero di portarci alla rovina.

Una trappola già ampiamente utilizzata ed alla quale abbiamo sempre abboccato con troppa facilità ed opponendo pochissima resistenza: segnale ulteriore della mancanza di credibilità internazionale del blocco europeo. E sebbene senza la crisi dettata dal coronavirus forse saremmo stati in grado di reggere più a lungo, facilmente col passare dei giorni – spinti anche dall’opinione pubblica interna – avremmo comunque ceduto.

Dall’apertura dei confini all’accordo: la vittoria di Erdogan

Quando sulla fine dello scorso febbraio Erdogan annunciò le proprie intenzioni di aprire i confini per spingere i profughi siriani verso la Grecia, le mire della mossa apparvero chiare sin da subito. Già nei mesi precedenti il presidente turco aveva accusato Bruxelles di non aver rispettato il piano dei pagamenti, minacciando ritorsioni qualora non fossero giunte le tranche di pagamento mancanti. E con la scusa del conflitto in corso nella provincia siriana di Idlib, Erdogan ha deciso di mantenere la sua promessa.

Nonostante la Grecia si sia eretta a difesa dell’intero blocco europeo nel respingimento dei migranti e nonostante l’aiuto che il gruppo di Visegrad si era detto disposto a concedere, una volta che la palla è passata in mano ai vertici d’Europa il piano d’azione è nuovamente cambiato; aprendo – di nuovo – le trattative con Ankara.

In questo modo come già sottolineato l’Europa si getta nuovamente tra le braccia delle Turchia: sapendo però sin dal principio che molto presto e all’occorrenza esse potrebbero mollare la presa: riproponendo la situazione dal principio con un nuovo aggravio sulla Grecia. Questa volta, però, non ci potrà essere scusa che tenga per difendere quello che si configura come l’ennesimo fallimento della diplomazia d’Europa.