È un periodo di grandi cambiamenti non solo in Europa (si veda la voce Brexit), ma anche in Italia (Mario Draghi è ormai prossimo a diventare presidente del Consiglio). Cosa sta accadendo davvero? Ne abbiamo parlato con il professor Arduino Paniccia, analista e presidente della Scuola di guerra economica e competizione internazionale.
Professore, partiamo dalle basi: qual è la differenza tra Europa e Unione europea?
C’è una differenza tra le due. Intanto è utile individuare una triade composta da tre concetti distinti: le democrazie, molto vive nel mondo anglo-sassone, il nuovo esperimento tecnocratico dell’Ue e le autocrazie che oggi condividono l’Eurasia, e in cui ormai mettiamo dentro anche la Turchia. Nel mondo anglo-sassone inseriamo anche l’India, che sta riscoprendo una radice di democrazia. Nuova Delhi ha scelto di non seguire le autocrazie dell’Eurasia, e la sua è una scelta tanto complessa quanto molto interessante. L’Europa sta sperimentando una forma tecnocratica che è assolutamente nuova e diversa, i cui risultati, per il momento, non sono però molti confortanti. La tecnocrazia non può esistere in modo a sé stante, si basa su un asse: quello franco-tedesco, che ha dato via, assieme ai Paesi satelliti – a partire da quelli del Nord – alla tecnocrazia in cui viviamo oggi. È un esperimento che avrebbe dovuto assicurare, da Maastricht in poi, la stabilità sociale, la difesa comune e la crescita attraverso la moneta comune. Mi pare che questi obiettivi non siano stati raggiunti.
Ad esempio?
La difesa comune è inesistente, vi è solo un tentativo dello Stato maggiore francese di far diventare la difesa comune europea una spina nel fianco degli Stati Uniti. La base del patto asse-tedesco non è solo economico ma di potenza: i francesi hanno la bomba atomica, possono usarla quando vogliono e, allo stesso tempo, coprono i tedeschi con un ombrello. L’Ue si è involuta in una autoalimentazione burocratica sempre più forte. L’Ue è spaccata: c’è un Nord che segue una sua strategia condizionata dall’asse franco-tedesco e c’è poi un Mediterraneo nel quale si vede il vuoto lasciato da varie potenze e che è stato riempito da Russia e Turchia, due Paesi sempre meno amici dell’Ue.
Chi sono allora gli amici dell’Unione europea?
L’Ue è un alleato misterioso degli Stati Uniti, visto il rapporto con i cinesi. Sostanzialmente oggi l’Ue è divisa in due: ha un vuoto in un’area pericolosissima, non è più amica degli Usa, non è amica dei cinesi se non in modo obliquo, è in conflitto latente con Russia in Ucraina, ed è alle corte con Recep Tayyip Erdogan che pensavamo di comprare con quattro soldi. La Gran Bretagna è uscita dall’Ue, in Spagna la Catalogna voleva fare una secessione, l’Italia è spaccata, i Balcani sono un punto interrogativo, a est c’è il Patto di Visegrad mentre le Repubbliche baltiche vivono con la paura dei russi. Il quadro non è affatto entusiasmante.
Raccontata in questi termini, l’Unione europea sembra più morta che viva…
L’Unione europea esiste, seppur in queste condizioni. L’Italia è lo specchio di molte delle vicende più generali. Come il nostro Paese, l’Ue ha bisogno urgente di una revisione totale della sua politica di difesa e di alleanze, nonché di una revisione dei rapporti economici perché si trova nel mezzo di una guerra economica. In più, l’Ue non è attrezzata militarmente. Deve fare scelte strategiche vere che la tecnocrazia non è in grado di fare. La pandemia ha inoltre mostrato che il re è nudo. Il Covid è stato l’acceleratore di un processo di decrescita e di crisi latente nel quale l’asse centrale sta reggendo solo per i motivi che abbiamo detto. Contrariamente ai grandi proclami di 30 anni fa, l’Ue ha fallito nella riduzione delle diseguaglianze. Anzi: le ha amplificate.
Europa e Unione europea: perché sono diverse?
Iniziamo a pensare che l’Ue non possa coincidere con l’Europa. Questa trasformazione sta riguardando molte delle potenze mondiali. Le potenze fanno molta fatica a ritrovare se stesse. Anche gli Usa non sono più quelli che abbiamo conosciuto. Anche la Russia deve riconoscersi in una autocrazia che si è genuflessa alla Cina. I cinesi sembrano essere gli unici che per il momento ritrovano se stessi. Nonostante i mille interrogativi sulla pandemia – con i morti per strada – loro sembrano di “stare nella loro pelle”. L’Europa, invece, non so se riuscirà a trovare se stessa, soprattutto nei panni dell’Ue.
E l’Italia? Qual è il suo rapporto con l’Unione europea?
Noi abbiamo due strade nei confronti dell’Unione. Una sarebbe quella di riuscire a portare sul tavolo, con grande capacità, gli interessi molto delicati nel Mediterraneo. È difficile far capire all’Europa del Nord che cos’è il Mediterraneo. L’altro cammino: avere un rapporto con l’Europa nel quale riusciamo a integrarci. Perderemo delle caratteristiche, ma l’integrazione non riguarderebbe più Maastricht bensì l’alleanza con gli Usa, l’integrazione sulle tecnologie e la concentrazione delle risorse. Draghi può essere una medicina amara dell’Europa, ma è anche italiana, americana e potrebbe in qualche modo fare qualcosa che fino a ora non siamo mai riusciti a fare. Draghi ha molti difetti ma non è un provinciale: conosce l’Italia, l’Europa, l’alleato americano e potrebbe triangolare. Bisogna vedere se Draghi riuscirà in questa missione o se si dedicherà soltanto a rimettere in ordine il debito e tranquillizzare l’Europa.
La Francia ha scelto Macron, il piccolo Napoleone, l’Italia invece Draghi. A chi paragonerebbe l’ex capo della Bce?
La scelta del piccolo Napoleone è una scelta da sempre francese. Ognuno cerca di ritrovare un periodo storico in cui i rispettivi Paesi erano al centro di un’epoca d’oro e di emularlo. Anche l’Italia è alla ricerca di qualcosa di simile. Abbiamo però un problema: il nostro Paese è diviso in Nord e Sud. Per tornare a dei grandi statisti, dobbiamo tornare a gente come Giolitti o De Gasperi. Entrambi hanno vissuto gli eventi delle due guerre mondiali, cioè emergenze forti. Mi piacerebbe che qualcuno assomigliasse a Giolitti. L’Italia non può affidarsi a scelte autocratiche, deve trovare uomini di una capacità importante e di un certo carisma, in grado di guidare la parte finanziaria del Paese. Questa figura deve avere presente l’interesse nazionale, la ricerca di alleanze – l’Europa è imprescindibile perché ci dà i soldi – i legami con i fondi anglo-sassoni, il tutto unito a un pragmatismo nel quale ci presentiamo preparati. Mentre la Francia può ricreare piccoli Napoleoni, la Germania ritrovare lo spirito prussiano e l’Inghilterra fare scelte sui generis in virtù della propria particolare democrazia, l’Italia non può far altro che affidarsi alla figura del commis. L’ultimo grand commis dell’Italia è stato Giolitti. Draghi ha molte caratteristiche che lo accomunano ai grand commis del passato: conosce il mondo amministrativo, i bilanci dell’Ue, dello Stato e via dicendo. La scelta, insomma, rientra nella storia e nella tradizione del nostro Paese. Non basta richiamarsi a una democrazia millenaria, fare i piccoli Napoleoni, rifarsi all’animo prussiano e via dicendo. Quando gli italiani pensano al Paese ordinato che funziona, la Cina, fanno inoltre un errore gravissimo.