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Nella trasmissione In mezzora in più di Rai3 Ignazio La Russa è intervenuto duramente sugli strani “allarmi” della stampa liberal angloamericana a proposito di una prossima (e molto probabile) vittoria elettorale del partito di Giorgia Meloni. A suo avviso dietro le strambe preoccupazioni del New York Times e dintorni su un ipotetico quanto fantasmagorico “ritorno del fascismo” e della camice nere cent’anni dopo la marcia su Roma e quasi 80 anni dopo piazzale Loreto vi sono “ambienti italiani della cultura, del giornalismo e della politica, che stanno lavorando in combutta con ambienti della sinistra internazionale”. Si tratta di “ambienti italianissimi”, denuncia il senatore, che intrugliano con “giornali stranieri affinché li aiutino a non perdere, inventando percolo di destra, un pericolo Meloni. Noi non perderemo un voto ma è un modo per danneggiare l’Italia”.

Ciò nonostante La Russa si dice convinto che gli americani (non si capisce però se Ignazio intendesse l’amministrazione Biden o l’opinione pubblica, i democratici o i repubblicani…) non si faranno influenzare, poiché “hanno registrato la nostra posizione, sempre filo occidentale, filo atlantista, di sostegno all’Ucraina etc…”. Una presa di posizione chiara, netta che ci riporta di colpa al passato remoto e prossimo.

Spieghiamo. Il Partito democratico e la sua variegata galassia hanno radici antiche che affondano nel semprevivo “partito dello straniero” stigmatizzato già nel 1799 da Vincenzo Cuoco nel suo Saggio storico sulla rivoluzione napoletana. La triste e tragica parabola dei giacobini partenopei affascinati dal modello rivoluzionario francese e volutamente, ostentatamente estranei e distanti dal loro popolo lo disilluse per sempre: per lo studioso una classe dirigente che non si mette emotivamente in armonia col Paese: “Non si può mai giovare alla Patria se non si ama, e non si può mai amare la Patria se non si stima la nazione”. Piaghe che nei due secoli che ci separano da allora non si sono mai davvero richiuse.

Non a caso l’artificiosa repubblica napoletana (cinque mesi scarsi di vita…) è sempre parte integrante e fondante del pantheon progressista e, nel tempo, ha sorretto, giustificato e nutrito le suggestioni di larga parte del notabilato post-unitario, il progressismo novecentesco e le contorsioni di quella sinistra borghese stizzosamente anti italiana, anti nazionale. Una sinistra senza popolo.

A questa somma di fattori metapolitici vi è poi l’eredità del lunghissimo dopoguerra italiano e i sapori malsani della Guerra fredda. Come ricordava divertito Francesco Cossiga, dal 1945 alla caduta del muro di Berlino i due principali partiti politici italiani hanno goduto abbondantemente dei denari stranieri: la Democrazia cristiana incassava i contributi dei sindacati americani mentre il Partito comunista prosperava grazie ai finanziamenti dell’Unione sovietica. Un flusso d’affari florido e notevolissimo di cui ambedue la parti, come Cossiga sosteneva, erano perfettamente a conoscenza. Tanti soldi in cambio di fedeltà assoluta e subalternità totale. Da qui mezzo secolo di ondivaghe e contraddittorie politiche, interrotte talvolta da qualche sprazzo coraggioso per la difesa degli interessi nazionali (Mattei tra tutti…) ma immediatamente cassato, massacrato, annullato.

Con il crollo del sistema sovietico, la sinistra comunista, orfana del Cremlino e dei suoi generosi pagatori, si riconvertì in un batter d’occhio nell’europeismo più ottuso e in uno zelante atlantismo con l’elmetto. D’Alema non si fece scrupoli a bombardare, senza avvertire il Parlamento, per giorni Belgrado, Napolitano costrinse il governo Berlusconi a tirare i nostri missili sulla Libia gheddafiana assieme agli anglo-francesi. In ambedue i risultati sono noti. In quelle che consideravamo aree d’influenza o, addirittura, il “cortile di casa”, oggi l’Italia non conta più niente.

Un disastro geopolitico che il “partito dello straniero” spaccia per grandi vittorie, come ancor oggi si inebria ricordando il colpo di mano nel 2011 dell’Europa (Angela Merkel e Nicolas Sarkozy in primis) contro Berlusconi e il sistema Italia. Esempi che Giorgia Meloni dovrebbe tenere ben presente. Al di là delle dichiarazioni e dei proponimenti, un governo attento agli interessi permanenti della Nazione è sempre malvisto dagli stranieri di fuori e dagli stranieri “di dentro”.

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