Da qualche giorno, i principali quotidiani tedeschi stanno dando spazio a una notizia che ha fatto irruzione come un fulmine nello scenario politico nazionale: quella del ritiro di una missione militare e di addestramento in Camerun che, tuttavia, non sarebbe mai stata autorizzata dal parlamento di Berlino. In realtà, l’approvazione da parte del Bundestag non è di per sé obbligatoria in caso di impiego per scopi di pace: ma nel frattempo il Paese africano è caduto in una spirale di violenza, nota come Crisi anglofona, iniziata nel 2017 e tuttora in corso. Per questa ragione, il fatto che le forze armate fossero comunque impiegate sul territorio ha causato un piccolo terremoto politico in Germania.
Cronaca di un ritiro (non) annunciato
Il Camerun, che insieme alla regione circostante è stato colonia tedesca dal 1886 al 1918, ha per molto tempo vissuto una situazione di stallo dovuta alle spinte secessioniste di una sua regione nel Sudovest, l’Ambazonia, a maggioranza anglofona: la spaccatura tra quest’ultima e il resto del Paese, a prevalenza francofona, ebbe inizio proprio al termine della Prima Guerra mondiale, quando l’ex Kamerun venne suddiviso in un mandato britannico e uno francese. La riunificazione avvenne nel 1961, quando di fronte alla possibilità di unirsi alla Nigeria o al Camerun “francese”, già indipendente dall’anno precedente, la popolazione dell’Ambazonia scelse la seconda opzione (una terza eventualità, quella dell’indipendenza, venne scartata dalle autorità coloniali inglesi). Da allora, le accuse reciproche tra le due comunità non sono mai sopite: ma soltanto negli anni Duemila, con l’intensificarsi delle proteste e delle manifestazioni e l’inasprirsi del responso delle autorità, si può parlare di un conflitto vero e proprio, apertosi ufficialmente il 9 settembre 2017. Proprio mentre l’esercito dell’Ambazonia iniziava i suoi attacchi contro le truppe governative, la presenza tedesca nel territorio camerunense entrava nel suo secondo anno di vita, per poi terminare bruscamente qualche giorno fa, dopo che nei mesi scorsi un parlamentare socialdemocratico, Hans-Peter Bartels, aveva reso noto l’esistenza della missione “Western Lion” nel corso di un’interrogazione parlamentare domandandosi come mai non fosse stata ancora ritirata, specialmente dopo che organizzazioni come Amnesty International avevano parlato di “possibili torture condotte dalle forze di sicurezza camerunensi” ai danni dei civili.
Una presenza scomoda?
L’operazione, cominciata nel 2015, era stata ideata come “progetto formativo” rivolto alle forze di polizia e militari del posto, nel timore di un’infiltrazione da parte di Boko Haram all’interno del Paese. Tali missioni, in questo caso strutturate con la presenza di unità di dieci ufficiali tedeschi per ogni cinquanta soldati camerunensi, vengono classificate dal Ministro della Difesa tedesco come “top secret”, e sono normalmente sconosciute alla grandissima parte dell’opinione pubblica: la loro natura “tecnica” e non operativa fa sì che la loro approvazione da parte del Bundestag non sia richiesta, come dimostrano casi analoghi in Niger e Tunisia. Uno scopo, dunque, principalmente di sicurezza, che però si è rivelato inutile al momento dello scoppio delle violenze intercomunitarie. L’eventualità che il know how portato dalle forze speciali tedesche sia stato utilizzato per compiere atrocità nei confronti dei civili è infatti reale, come affermato dal capo del Gruppo Parlamentare per l’Africa centrale, Christoph Hoffmann, ai microfoni di Deutsche Welle: “Non sappiamo se l’equipaggiamento portato dalla Germania verrà impiegato come parte del conflitto nel Nord- e nel Sudovest del Camerun. Per questo, la missione avrebbe dovuto terminare già due anni fa, alle prime avvisaglie di violazione dei diritti umani”. Lo stesso Hoffmann, deputato liberale, si è detto non contrario alla presenza di missioni militari in aiuto di altri Paesi, anche senza previa autorizzazione parlamentare, a patto però che ciò avvenga a scopi antiterroristici e in assenza di conflitti interni.
“L’operazione si è conclusa secondo i piani”
Come riporta la Süddeutsche Zeitung, le circostanze del ritiro restano però sospette. Sebbene si sia trattato ufficialmente di una chiusura nei tempi e nei modi previsti dal Ministero della Difesa tedesco, infatti, c’è chi crede che permangano delle ambiguità sull’efficienza innaturale con la quale la missione è stata dichiarata terminata. Questo, almeno, è ciò che sostiene il parlamentare di Die Linke Stefan Liebich, al quale lo stesso ministero, da lui contattato direttamente, avrebbe risposto che “Western Lion ha avuto fine secondo i piani”. Un’espressione che confligge però con quanto scoperto dallo stesso Liebich, che afferma che ancora qualche mese fa, ci sarebbe stata la volontà di andare avanti ed estendere l’operazione fino a una data indefinita. Il punto di svolta, quindi, si sarebbe avuto con l’intervento (sgradito a Berlino) di Bartels nella faccenda, che ha esposto un’altrimenti oscura vicenda agli occhi di tutta l’opinione pubblica nazionale facendo inoltre trasparire un’evidente impreparazione delle autorità militari tedesche dinanzi alle accuse di aver partecipato, seppur indirettamente, a uno scenario di guerra nel quale permangono forti sospetti di violazioni dei diritti umani. Uno scivolone “Made in Germany” destinato a far parlare ancora di sé?