Otto cancellieri in settantadue anni: la Germania, dalla nascita della Repubblica Federale nel 1949 ad oggi, è stata tradizionalmente un’oasi di stabilità politica in cui si sono affermati leader capaci di garantire leadership prolungate che hanno lasciato, in larga misura, un segno profondo sul Paese e sulla sua condotta politica in Europa. Se pensiamo che il leader politico tedesco meno longevo è stato Kurt Georg Kiesinger, cancelliere cristiano-democratico alla guida della prima Grosse Koalition con la Spd dal 1966 al 1969, in carica per poco più di mille giorni mentre l’equivalente italiano, Ferdinando Tambroni, ha guidato nel 1960 l’esecutivo italiano per soli 123 giorni si ha un’idea della natura del sistema istituzionale di Berlino.

Ognuno dei cinque cancellieri cristiano-democratici e dei tre socialdemocratici ha a suo modo impattato sulle prospettive strategiche e politiche della Repubblica Federale, contribuendo a creare una continuità di governance e di gestione dell’interesse nazionale consolidatasi nel tempo. Fino al lungo periodo di controllo della cancelleria da parte di Angela Merkel.

Adenauer e l’economia sociale di mercato

Il “padre della patria” della Repubblica Federale, Konrad Adenauer, inaugurò la serie di leadership forti della Germania guidando la nazione dal 1949 al 1963. Asceso al potere a 73 anni, Adenauer portò con sé il lungo bagaglio di conoscenze del mondo politico che precedeva largamente la tragica epopea del nazismo e promosse una linea realista che seppe posizionare Bonn al centro degli equilibri dell’integrazione europea e in piena sintonia con il blocco occidentale.

La sua ispirazione cristiana si unì a quella di leader del calibro di Alcide De Gasperi nell’immaginare la nuova via dell’integrazione europea. Sul fronte economico, Adenauer istituzionalizzò il modello dell’economia sociale di mercato come terza via tra comunismo e liberismo. L’economia sociale di mercato fu regolata attraverso le riforme del governo a partire dagli Anni Cinquanta e applicata con un bilanciamento di interventismo pubblico, libertà d’impresa e sostegno al circuito del credito ha guidato la ripresa tedesca nel secondo dopo guerra. Come dottrina, ha ricordato Renato Brunetta in un editoriale per Il Foglio, essa “opera un intreccio equilibrato tra le teorie del liberalismo classico ed elementi sociali e di regolazione pubblica” e si fonda “sulla centralità dell’uomo rispetto allo Stato, caratterizzata da una forte responsabilità individuale”.

La sussidiarietà tra governo e enti locali, alla base del modello federale, la volontà di compenetrare l’anima cattolica e quella protestante della Germania, la definizione della Unione Cdu/Csu sulla scia del compromesso tra Monaco (Germania produttiva e conservatrice) e Berlino (Germania del lavoro e della socialdemocrazia) furono le conseguenze durature che Adenauer istituzionalizzò. Assieme a questi processi, un suo risultato fu la definizione del dualismo con la Francia alla guida dell’Europa attraverso il Trattato dell’Eliseo del 22 gennaio 1963 firmato con Charles De Gaulle.

Adenauer seppe vincere la sua sfida politica quando come suo successore fu scelto Ludwig Erhard, sulla cui nomina a cancelliere il padre della Germania moderna era scettico ma che seppe consolidarne l’eredità dopo esser stato lo stratega dell’economia sociale di mercato. In particolare, Erhard, al potere dal 1963 al 1966, promosse ampiamente il modello industriale della mittelstand, capace di garantire ai dipendenti e piccoli soci delle aziende una costante partecipazione alle attività e agli utili delle aziende. La normalizzazione della società tedesca postbellica sarebbe stata completata con la possibilità offerta al successore Kurt Georg Kiesinger di associare i socialdemocratici al potere nella prima “Grande Coalizione” del 1966-1969, preludio della formazione di governi a guida Spd.

La Spd tra Ostpolitik e atlantismo

Willy Brandt, primo cancelliere socialdemocratico della storia post-bellica della Germania, fu leader di profonda discontinuità. Brandt, che fu al potere dal 1969 al 1974, anno in cui dalla carica di Cancelliere dopo la scoperta del coinvolgimento di un suo consigliere, Günter Guillaume, in una rete di spionaggio a favore della Stasi, i servizi segreti della Germania Est, cercò un modus vivendi con la Germania al di là del Muro.

Brandt promosse l’Ostpolitik per aprire al dialogo con i Paesi del Patto di Varsavia e, in maniera lungimirante, preparare l’espansione economica a Est che fino ad Angela Merkel i suoi successori avrebbero sostenuto. Egli promosse con Berlino Est l’accordo di reciproco riconoscimento concluso nel 1972, chiese alla Polonia scusa per i crimini nazisti, formalizzò il riconoscimento del confine post bellico, fu leader ascoltato in Unione Sovietica e al tempo stesso punto di riferimento per i governi di sinistra europei. La spinta alla democratizzazione interna indotta nei Paesi dell’Est dalla sua apertura diplomatica è ritenuta esser stata una delle cause primigenie della fine della Guerra Fredda in Europa; il suo successore fu Helmuth Schmidt, suo compagno di partito, che non dimenticò la vicinanza tedesca agli Usa aprendo all’atlantismo in asse con Bettino Craxi e inaugurando una nuova era per la sinistra riformista e non comunista con la decisione di dare il via libera agli Euromissili a inizio Anni Ottanta.

Schmidt riconciliò la Spd con i principi dell’economia sociale di mercato sdoganando dunque il trionfo del modello fondato da Adenauer, risistemato in senso laburista. I suoi governi, dal 1974 al 1982, stabilizzarono il contesto complessivo del Paese contribuendo, inoltre, alla sconfitta del terrorismo rosso e aprirono, in prospettiva, alla lunga marcia alla riunificazione che avrebbe avuto la guida di un altro storico leader cattolico-democratico: Helmuth Kohl.

Kohl e Schroeder, il nuovo consenso

Adenauer fu il leader che prefigurò una Germania europea. Kohl, artefice della riunificazione, preprò l’Europa tedesca. Il maestro politico di Angela Merkel seppe muoversi con tenacia e decisione per promuovere un’agenda volta a completare, tra il 1989 e il 1991, la riunificazione delle due Germanie. Nell’era della globalizzazione, del post-Guerra Fredda e della Germania tornata coesa, inoltre, il cancelliere più longevo della storia della Germania assieme alla Merkel (1982-1998) rilanciò la centralità di Berlino in Europa sfruttando, grazie ai fondamentali positivi dell’economia nazionale, il pegno pagato dalla Repubblica Federale all’Unione, l’accettazione dell’euro, come strumento di potenza.

Le politiche mercantiliste, il rigore monetario e il controllo sui conti pubblici interni e altrui ebbero il loro complemento nella profonda riforma del mercato del lavoro prodotte dal successore socialdemocratico di Kohl, Gerhard Schroeder, che da sinistra promosse le riforme neoliberiste del “pacchetto Hartz” per introdurre maggiore flessibilità nel sistema. Contestato dalla sua base per questo, Schroeder inaugurò però anche un nuovo embrione di pensiero geopolitico schierandosi nel 2003 contro la guerra in Iraq decisa dagli Usa e aprendo all’asse energetico con la Russia di Vladimir Putin. Angela Merkel ha lavorato sul suo solco, sfruttando riforme favorevoli alla sua visione politica, ma promuovendo anche un’agenda legata all’incentivazione della centralità tedesca in Europa.

Allieva di Kohl, favorita dalle riforme di Schroeder, fautrice di una nuova Ostpolitik commerciale-industriale prima ancora che politica, la Merkel regina del rigore e dell’austerity ha scoperto, con la pandemia di Covid-19, una nuova versione dell’economia sociale di mercato riducendo il moralismo e l’estremismo monetario di Berlino. Espressione del sincretismo politico della Germania post-bellica, la Merkel ha rappresentato una figura trasversale ai suoi predecessori. E chi le succederà non potrà evitare di muoversi in un contesto consolidato dalla continuità d’azione tra gli otto personaggi politici che dal 1949 ad oggi si sono alternati alla Cancelleria Federale. Tracciando le linee guida del Paese chiave dell’Europa.





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