Miracolo africano oppure soltanto specchietto per le allodole? L’enigma etiope da un lato affascina, ma dall’altro non può che far interrogare circa la solidità di un sistema che da alcuni anni viene proposto quale “modello” per l’Africa ma che, al suo interno, nasconde anche non poche insidie. A cominciare da uno sviluppo che coinvolge pochi e lascia nella miseria ancora a tanti, mentre dall’alto lato il paese appare come invischiato in un duello a distanza tra Cina ed Arabia Saudita per lo sviluppo di investimenti e relativa influenza di natura politica. 

Il “modello” dell’Etiopia

Per adesso il sistema etiope trova rappresentanza e volto nella figura di Abiy Ahmed Ali. È lui a guidare il governo dallo scorso 2 aprile e la sua presentazione certamente aiuta ad animare la nomea positiva della “nuova” Etiopia: Ahmed Ali ha infatti 42 anni, è dunque giovane ed appartiene all’etnia Oromo, quella che pur essendo in maggioranza nel paese africano è da sempre la più bistrattata. Di recente Ahmed Ali è protagonista di un viaggio in Europa che assomiglia tanto ad una sua consacrazione anche mediatica. Porta in giro per il vecchio continente i suoi numeri che parlano di una crescita importante del Pil etiope, di una pace conquistata con l’Eritrea dopo 20 anni di conflitto e di decine di presunti oppositori politici liberati. Un leader modello per un sistema modello, una manna per chi prova a rintracciare in alcuni dei nuovi leader africani possibili figure mediatiche da rilanciare anche nell’agone e nel calderone politico. Ahmed Ali, in questo suo tour, fa tappa anche in Italia e Roma riesce a strappare la commessa per la progettazione della nuova ferrovia Addis Abeba – Massaua.





Ma non è tutto oro quello che luccica. Al fianco dei buoni propositi e delle buone percentuali di crescita, vi sono anche progetti di privatizzazione di industrie e settori chiave, “sirene” di faraonici investimenti da parte di non meglio precisati capitali stranieri che rischiano di assottigliare il margine di manovra peraltro già limitato del governo etiope. Ma quei numeri che al momento aiutano mediaticamente l’Etiopia a fomentare il suo “modello”, sono arma a doppio taglio: fanno parte della realtà infatti, anche le cifre che parlano di miseria, di milioni di famiglie ben al di sotto della soglia di povertà, di una mortalità infantile ancora troppo elevata, di una popolazione non raggiunta in molte parti del paese dai servizi essenziali. Allontanarsi da Addis Abeba, vuol dire lasciare i simboli del “miracolo” costituiti da boom edilizio ed aumento del traffico per piombare in una realtà drammaticamente troppo lontana da ciò che di positivo viene attualmente accostato all’Etiopia. Certamente i problemi decennali di questo immenso paese africano non possono essere risolti da Ahmed Ali e non possono considerarsi esauriti in appena pochi anni. Ma l’attuale modello di sviluppo sembra accentuare le differenze ed in uno Stato come l’Etiopia, multietnico e diviso tra diverse entità culturali, questo può voler dire un giorno ripresa di reciproche diffidenze e reciproci scontri interni. 

Il duello tra Cina ed Arabia Saudita

E sullo sfondo del modello etiope ritenuto di successo, vi è anche la questione delle forti influenze economiche provenienti dall’esterno. La pace con l’Eritrea, è il pensiero che maggiormente viene riportato dopo la firma della pace di Gedda, subisce un’importante ed improvvisa accelerazione grazie agli interessi della Cina. E non a caso il trattato viene firmato per l’appunto in Arabia Saudita. Sono questi i paesi che più di tutti investono qui. Pechino è impegnata nella costruzione di diverse infrastrutture, Riad invece in quella di grandi moschee. Per entrambi i paesi mettere piede in Etiopia prima e più degli altri significa assicurarsi influenza politica ed economica nella nazione più cruciale di un’area strategica quale quella del Corno d’Africa. 

Ogni cosa ha i suoi pro e contro. Certamente l’Etiopia di oggi, al netto anche del ruolo di cinesi e sauditi e delle contraddizioni del suo “modello” di sviluppo, è diversa da quella di tanti anni fa: si pensa più ad infrastrutture, al dialogo interno tra le varie etnie e ad assicurare una certa stabilità. Del resto, confrontando la situazione del paese con quella dei vicini, il divario sotto il profilo economico e politico è enorme: basti pensare ai problemi dell’Eritrea e, tra tutte, alla situazione in Somalia. Ed un’Etiopia maggiormente pacificata e stabile è un’opportunità per molti, anche per l’Italia: qui, grazie anche ai nostri legami storici, Roma deve anzi cercare di recuperare il tempo perduto e battere più di un colpo specialmente quando si fa riferimento alle nuove infrastrutture di cui il paese africano vuole dotarsi. Ma guai a parlare di “modello”, per l’appunto. Il sistema etiope rimane fragile, vocato ad una maggiore disuguaglianza e questo, a meno di correzioni ed inversioni di rotta, a lungo termine rischia di non essere sostenibile specie sotto il delicato profilo economico. 

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