Con il disastro aereo del volo Egyptair, inabissatosi alle 2.37 del mattino di giovedì nel mar Mediterraneo con cinquantasei passeggeri a bordo, l’attenzione del mondo torna ad essere puntata sull’Egitto del generale Al-Sisi. L’esplosione in volo sul Sinai dell’Airbus 321 russo decollato da Sharm el Sheik lo scorso ottobre, il dirottamento dello scorso marzo del volo Egyptair verso l’aeroporto cipriota di Larnaca e, da ultimo, la tragedia del volo MS804, segnano, infatti, le tappe dell’annus horribilis del Cairo.Episodi, questi, che non restano privi di conseguenze sul piano della stabilità politica ed economica dei Paesi colpiti, come spiega Gabriele Iacovino, responsabile degli analisti del Centro Studi Internazionali (Ce.S.I.):  “Il record degli ultimi sei mesi dell’aviazione egiziana ha evidentemente delle ripercussioni sull’immagine e sulla sicurezza dell’Egitto, che già negli ultimi due anni, sulla scia della primavera araba, erano state pesantemente compromesse”. “I livelli del turismo degli anni precedenti alla rivoluzione, infatti” spiega l’analista, “restano un miraggio, e questo si ripercuote inevitabilmente sull’economia del Paese, il cui Pil si basava, per una significativa percentuale, proprio sul turismo”.Le indagini sulle cause dell’incidente sono ancora in corso, e, sebbene sia ancora un mistero il perché, nella notte di giovedì, dopo aver effettuato due brusche virate sui cieli egiziani, l’Airbus dell’Egyptair si sia inabissato in mare, l’ipotesi terrorismo resta in piedi. Anche se, finora, manca qualsiasi rivendicazione dell’eventuale attentato. Ma, qualora arrivassero, l’esperto è pronto a scommettere che la falla nei controlli di sicurezza ci sia stata nello scalo francese. “Per adesso non ci sono conferme, ma se si fosse trattato di un ordigno il problema sarebbe più francese che egiziano, perché l’aereo è decollato da Parigi verso il Cairo, e se la bomba fosse stata caricata prima che l’aereo arrivasse a Charles De Gaulle, sarebbe anche esplosa prima”, spiega l’analista del Ce.S.I., “se parliamo di terrorismo jihadista, inoltre, paradossalmente, è molto più esposta Parigi che il Sinai”. “E se qualcuno fosse riuscito a mettere una bomba su un aereo in uno scalo europeo”, continua Iacovino, “questo sarebbe un grosso problema per la nostra sicurezza”.Se si fosse trattato di un attentato, inoltre, la tratta che l’Airbus della compagnia aerea egiziana stava operando, potrebbe non essere stato un obiettivo casuale. L’asse franco-egiziano contro il terrorismo, infatti, si è stretto significativamente negli ultimi mesi, sia a causa del progressivo disimpegno statunitense nell’area, sia perché Parigi riconosce ancora nell’Egitto una pedina importante per la stabilizzazione dell’area mediorientale e della Libia. Le relazioni tra Francia ed Egitto di Al Sisi, infatti, spiega Iacovino, si sono rinsaldate attraverso la creazione “di canali economici e politici importanti”. Oltre all’importanza dell’export militare di Parigi verso il Cairo, con forniture a nove zeri, e dell’appoggio di Al Sisi al nuovo piano del Quai D’Orsay per rilanciare il dialogo tra Israele e Palestina, l’analista del Ce.S.I. sottolinea l’importanza, nelle relazioni franco-egiziane, del dossier libico. “In Libia”, spiega Iacovino, “la Francia sta mantenendo un piede in due staffe, da una parte supportando il governo di Serraj e dall’altra appoggiando l’azione di Haftar in Cirenaica, prettamente sponsorizzata dagli egiziani”. Ma “creare un nesso tra questo legame e un possibile attentato all’Airbus dell’Egyptair, significherebbe fare una scommessa molto difficile”, spiega l’analista, “questo episodio, inoltre, non dovrebbe avere ripercussioni significative sulle relazioni bilaterali tra i due Paesi, salvo riaffermare la loro vicinanza, proprio nella lotta contro il terrorismo, se di questo si trattasse”.Fatto sta, che l’Egitto, nonostante l’instabilità interna, rimane uno dei Paesi chiave nell’area del Maghreb e Mashrek. Un’importanza, quella del Cairo, direttamente proporzionale al fatto che il Paese si trovi sempre più nel mirino del terrorismo e degli scandali, come quello del caso Regeni. Un episodio che ha provocato il crollo delle relazioni bilaterali tra il nostro Paese e l’Egitto. Relazioni che erano ai massimi storici dopo la scoperta da parte di Eni di uno dei giacimenti di gas più importanti al mondo proprio al largo delle coste egiziane.Al Sisi è una pedina fondamentale anche nel dossier libico, dove l’appoggio del Cairo al generale Haftar, il principale avversario del governo di Serraj, sostenuto dalle Nazioni Unite, scombina i piani agli attori occidentali. Lo sa bene il segretario di Stato americano John Kerry, che ha incontrato il generale egiziano al Cairo, il giorno prima che il volo MS804 precipitasse in mare. “Si tratta di una visita importante”, spiega Gabriele Iacovino, “perché una soluzione politica in Libia, in questo momento, passa inevitabilmente anche dal Cairo, per questo motivo se da una parte è la visita di un alleato strategico, dall’altra è una visita che arriva in un momento in cui i temi caldi sono tanti e in cui, di fatto, avere un accordo o un buon numero di punti su cui convenire, sarebbe importante per tutti”.Divergenze con l’Occidente, terrorismo islamico, scandali e accuse sulle violazioni dei diritti umani, denunciate pesantemente in un editoriale apparso mercoledì sul New York Times: chi è interessato a mettere in ginocchio l’Egitto del generale che ha dichiarato guerra ai Fratelli Musulmani, e perché? “In Egitto c’è un regime che controlla il Paese attraverso la ricostruzione della rete istituzionale post-Mubarak, che fa riferimento principalmente all’esercito, in un momento in cui il malcontento popolare è alto”, spiega Gabriele Iacovino, del Ce.S.I., “da una parte questo malcontento è pacifico, come lo fu quello che ha portato alle rivolte della primavera araba, dall’altra parte abbiamo una serie di realtà che si stanno radicalizzando verso posizioni di stampo jihadista, di cui il Sinai è l’epicentro, e di cui la vicenda dell’aereo russo rappresenta la massima espressione di violenza”.“All’interno del Paese”, continua l’analista, “l’opposizione ad Al Sisi è forte e, di fatto, il Paese viene controllato solo ed esclusivamente attraverso la rete di controllo composta da polizia, servizi di intelligence e forze amate, dal punto di vista internazionale, invece, fatta eccezione per i maggiori sponsor internazionali della Fratellanza Musulmana, come Turchia e Qatar, Al Sisi non ha grossi nemici e, di fatto, non esistono pressioni in questo senso”. “Si parla sempre di Egitto perché l’Egitto è un paese molto instabile, dal punto di vista politico, economico e di sicurezza”, conclude Iacovino. E sugli scenari futuri l’analista è pronto a scommettere che non ci saranno nuovi cambi di leadership al Cairo. “La primavera araba, infatti”, spiega l’esperto, “è stato un punto di riferimento non solo per chi ha organizzato le rivolte, ma anche per chi deve reprimerle, e in questo momento il regime controlla il Paese in maniera molto pervasiva”.





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