Nel placido torpore dell’estate di un Egitto in pieno Ramadan e sotto legge marziale, il Parlamento del Cairo approva una decisione presa dal presidente Al-Sisi che lascia perplessi molti cittadini e che aveva scatenato pesanti rivolte in tutto il Paese: l’Egitto cede all’Arabia Saudita le isole di Tiran e Sanafir. Nonostante le proteste dei cittadini per le strade della capitale quando i governi dei due Paesi giunsero all’accordo, l’anno passato, il governo di Al-Sisi ha continuato per la sua strada e dal Parlamento, a stragrande maggioranza, è arrivata l’approvazione del patto. Due isole disabitate ma che rappresentano molto di più di due scogli nel mare. Avere il controllo delle due isole significa avere il controllo sull’accesso al Golfo di Aqaba, significa controllare l’accesso al Mar Rosso di Israele e Giordania e avere il controllo sul traffico di navi per le coste egiziane e saudite che segnano i confini fisici del Golfo.Le proteste del 2016 avevano avuto un’eco molto importante. Le strade del Cairo si riempirono di manifestanti, che con slogan nazionalisti e di rivendicazioni territoriali, avevano chiesto a gran voce al presidente Al-Sisi di ripensarci. Tuttavia, i milioni di petroldollari della monarchia Saud hanno fatto molto più presa sul governo egiziano di quanto potessero farlo i manifestanti della città. Nel tempo, la protesta è lentamente scemata, complice l’elevato stato di allerta contro il terrorismo e l’imposizione di una legge marziale che obbligava i cittadini a evitare qualsiasi protesta che potesse condurre a scontri di piazza. Ora, con l’approvazione del Parlamento, la gente è di nuovo pronta a scendere in piazza, nonostante i militari per le strade. Hamdin Sabahi, unico candidato a sfidare al-Sisi alle scorse elezioni, e leader del partito Corrente Popolare Egiziana, ha affermato che il patto siglato con Riad disonora le forze armate egiziane. Sui social media è iniziato un tam-tam mediatico per scendere per strada il venerdì, dopo la preghiera, ma il governo ha già dato ordine di usare ogni mezzo per sedare la protesta.Nella cessione delle due isole all’Arabia Saudita, il governo di Al-Sisi si gioca molto, soprattutto nei rapporti con Riad. Non è stata una scelta facile per il governo del Cairo, perché cedere due isole così importanti ai sauditi, significava un danno d’immagine all’interno del Paese molto importante. Eppure, nonostante le proteste e le accuse di collusione con le monarchie del Golfo, il governo è andato avanti, consapevole che fosse necessario perdere territori per mantenere un accordo con l’Arabia Saudita che per la stabilità del Medio Oriente significa molto. In questa scelta dell’Egitto non c’è soltanto avidità di denaro, ma c’è il simbolo di un patto che riaffermi l’alleanza contro la Fratellanza Musulmana, vero nemico di entrambi gli Stati e un accordo che limiti la possibilità che Riad mini la stabilità del Paese, soprattutto con il Sinai già ampiamente ferito da bande di predoni affiliate allo Stato Islamico e dalla tratta di foreign fighters che vanno e vengono dal Nordafrica e la Siria. A questo, si aggiunge il rispetto di accordi energetici che per l’Egitto sono fondamentali, e da cui dipende la fornitura di petrolio per tutto il Paese.L’Arabia guadagna in questo modo tantissimo sotto il profilo strategico e politico. Possedere quelle isole significa, come detto, possedere il traffico di accesso e di uscita verso i porti di Aqaba in Giordania ed Elat in Israele. Un vantaggio strategico enorme se si pensa che fu proprio la chiusura di quel traffico uno dei motivi per cui si scatenò la guerra dei Sei Giorni. In sostanza, così facendo, l’Arabia Saudita ottiene le chiavi del Golfo di Aqaba e controllare, in via definitiva, il controllo dei traffici marittimi commerciali da Oriente verso Israele e Giordania. In più, in chiave politica, l’Arabia Saudita dimostra di aver ottenuto quanto voluto e cioè di non perdere l’Egitto come alleato fondamentale della regione. La crisi con il Qatar e la cessione del Cairo di Tiran e Sanafir hanno dimostrato che Al-Sisi può essere, ed è, un collaboratore prezioso di Riad, nonostante una politica estera più autonoma rispetto ad alcuni teatri geopolitici, in particolare in Libia.





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