San Paolo. Molto di più di una telenovela, anzi un vero e proprio vaso di Pandora che in Brasile sta mettendo in ginocchio un’intera classe politica, responsabile della grave crisi – etica, economica, sociale – in cui il Paese sta collassando. Eppure, quando l’operazione Lava Jato cominciò tre anni fa grazie al lavoro di un coraggioso pool di magistrati di Curitiba, nessuno poteva immaginare che, una carta dietro l’altra, a essere scoperchiato sarebbe stato lo scandalo di corruzione più grande di tutta la storia dell’America latina e, forse, del mondo. Oggi i fatti hanno dato ragione alle intuizioni dei magistrati, come dimostra in modo plateale la cosiddetta Lista Janot, dal nome di Rodrigo Janot, il procuratore generale della Repubblica che l’ha stilata per fare mettere sotto inchiesta dalla Corte suprema il gotha politico brasiliano.Una lista che è una vera apocalisse dove compaiono scandalosamente i più grandi nomi della politica nazionale: dagli ex presidenti della Repubblica Lula e Dilma Rousseff ad almeno 9 ministri dell’attuale presidente Michel Temer, tutti già ufficialmente inquisiti insieme a 83 tra senatori, deputati ed ex ministri di peso come Guido Mantega e Antonio Palocci, ex pesi massimi dell’economia durante le presidenze Lula e Dilma. Alla lista si è arrivati grazie alle collaborazioni di giustizia di 77 manager dell’Odebrecht, la multinazionale verde-oro delle costruzioni e dell’ingegneria civile al centro dell’inchiesta della Lava Jato.Dopo una prima fase dell’inchiesta concentratasi sulle tangenti Petrobras, la compagnia petrolifera statale brasiliana, da almeno un anno e mezzo l’attenzione degli inquirenti è infatti passata proprio su Odebrecht. Cruciale, in questo senso, è stato l’arresto, due anni fa, di Marcelo Odebrecht, presidente della corporation. Complice anche la scoperta di un ufficio segreto che aveva l’unico compito di pagare tangenti milionarie e riciclare miliardi, Marcelo ha iniziato quasi subito a collaborare coi giudici per vedersi ridotta la pena insieme agli altri 77 manager della multinazionale. Coinvolti nello scandalo sul fronte brasiliano – quello più corposo con oltre 328 milioni di euro di tangenti confessate – l’ex presidente Lula, tutti gli ultimi tesorieri del «suo» Pt, ma anche l’attuale presidente Temer e i suoi più stretti compagni di partito, il Pmdb, oltre a membri di spicco del Psdb, il partito socialdemocratico dell’uscente ministro degli Esteri José Serra, accusato di avere ricevuto sei milioni di euro di tangenti su conti svizzeri.Per capire cosa sia stata finora la Odebrecht nel mondo basta guardare alle sue cifre. Appaltatrice numero uno delle opere pubbliche in America latina, presente in una trentina di Paesi, con 128mila dipendenti, solo nel 2015 ha incassato l’equivalente di 40 miliardi di euro. Il mondo delle tangenti era una sua realtà parallela che solo adesso sta venendo a galla in modo completo, tanto che lo scorso 21 dicembre la multinazionale brasiliana ha accettato un accordo con il Dipartimento di giustizia Usa, che prevedeva il pagamento di una multa di circa 3,3 miliardi di euro in cambio della chiusura di tutti i processi a New York, ammettendo il pagamento di tangenti per 732 milioni di euro versate in dodici Paesi tra 2001 e 2016. Trema così adesso tutto il Sud America, non solo il Brasile.Nei giorni scorsi ha dovuto addirittura scusarsi pubblicamente in televisione il presidente della Colombia Juan Manuel Santos, che ha ammesso di avere ricevuto dalla stessa Odebrecht finanziamenti illegali per la sua campagna elettorale del 2010 anche se i magistrati (il valore delle tangenti in ballo supera i dieci milioni di euro) sospettano fondi illegali anche per il voto del 2014. Naturalmente Santos ha detto di avere ricevuto tutto «a sua insaputa».Di certo c’è che in Venezuela le stecche hanno superato i 93 milioni di euro. Il paradosso è che l’unica denuncia sinora accolta dalla giustizia di regime sia quella contro il leader d’opposizione, Henrique Capriles mentre la vergogna è che il presidente Maduro abbia nominato proprio suo figlio per occuparsi dell’inchiesta, trasformando lo scandalo in uno strumento per eliminare ciò che resta dell’opposizione politica alla sua dittatura. E ancora, in Argentina durante le presidenze di Néstor e Cristina Kirchner – tra 2003 e 2014 – sono state pagate tangenti da Odebrecht per oltre 32 milioni di euro, in cambio di oltre 250 milioni di euro.In Perù, dove Alejandro Toledo è latitante dopo una condanna a un anno e mezzo, Ollanta Humala, che ha guidato il Paese sino allo scorso anno, è nell’occhio del ciclone per una stecca da poco meno di tre milioni di euro ricevuta da sua moglie e pure un terzo ex presidente, Alan Garcia, è coinvolto. Per la cronaca la multinazionale brasiliana a Lima ha versato tangenti per 27 milioni di euro in cambio di opere pubbliche da 140 milioni.Stesso effetto moltiplicatore in Colombia (dieci milioni di tangenti), in Messico (nove milioni) e in Ecuador, dove oltre 29 milioni di euro sono stati sborsati per aggiudicarsi 107 milioni di appalti sotto la presidenza di Rafael Correa. Molto importanti, viste le minori dimensioni dei Paesi, anche gli oltre 88 milioni di euro di tangenti versati da Odebrecht alla Repubblica dominicana sotto le presidenze di Leonel Fernandez e Danilo Medina e gli oltre 55 milioni di euro di stecche in quel di Panama, dove sono ricercati da due mesi proprio per questo i due figli dell’ex presidente, Ricardo Martinelli, anche lui latitante ma per altri crimini. Per non parlare del Brasile da cui tutta questa corruzione ha origine: qui sono sotto inchiesta le elezioni di Lula, Dilma e Temer, gli ultimi 3 presidenti.