La Libia è un mosaico molto delicato e dagli equilibri piuttosto precari. Ogni tessera cambiata rischia di ribaltare completamente il quadro. Per cui non è passata inosservata la rimozione, da parte del parlamento libico stanziato nell’est, di Fathi Bashagha. Quest’ultimo era a capo del governo sostenuto proprio dal parlamento in questione. Una scatola vuota in realtà, perché l’esecutivo non ha alcun riconoscimento internazionale. Eppure questa svolta potrebbe portare a non poche conseguenze. Ed è da valutare in tal senso anche il ruolo dell’Italia.
La scelta del parlamento dell’est
Il Paese nordafricano oramai da anni ha più governi e più parlamenti. Istituzioni figlie del caos e della frammentazione occorsa e mai risanata dopo l’uccisione di Muammar Gheddafi, avvenuta nel 2011. Con le elezioni del 2012 ha preso corpo un parlamento dominato dalle fazioni vicine all’Islam politico, con quelle del 2014 invece l’assise ha assunto una connotazione più laica. Nessuno dei due parlamenti, da allora, ha mai voluto cedere il passo. Tanto che a Skhirat, la città del Marocco dove nel 2015 si è trovato l’accordo che ha dato vita a una prima forma di governo unitario, entrambe le camere sono state riconosciute. Quella eletta nel 2012 è stata ridenominata “Alto Consiglio di Stato”, quella eletta nel 2014 invece è stata chiamata “Camera dei Rappresentanti”.
Il Consiglio di Stato è rimasto stanziato a Tripoli, la Camera invece doveva insediarsi a Bengasi ma la città in quel momento era ancora sotto occupazione islamista. Per questo i deputati si sono riuniti a Tobruk, la città più orientale della Libia. Non a caso la Camera è stata vista da sempre come un’emanazione del potere della Cirenaica, la regione dell’est della Libia. E, negli anni dell’avanzata nell’area da parte del generale Khalifa Haftar, è diventata il braccio politico di quest’ultimo. Nel febbraio 2022, in aperto contrasto con il governo guidato da Ddeibah a Tripoli, la Camera di Tobruk ha nominato un nuovo esecutivo. Lo scettro è andato a Fathi Bashagha, politico di Misurata a capo del ministero dell’Interno durante l’era di Fayez Al Sarraj.
Oggi quello scettro è stato tolto. Nei giorni scorsi, è stato lo stesso parlamento a decretare la fine della breve era di Bashagha. Ufficialmente, come sottolineato su Agenzia Nova, la decisione è stata presa per delle accuse molto gravi rivolte allo stesso ex premier. La principale riguarda un presunto sperpero di denaro pubblico. La maggioranza dei deputati ha votato a favore della sospensione di Bashagha, al suo posto è stato nominato il ministro delle Finanze, Osama Hammad. E adesso nel mosaico libico potrebbero aprirsi molti scenari.
Chi è Fathi Bashaga
C’è un paradosso in questa vicenda. Bashagha già da tempo era ai margini della vita politica libica, ma la sua definitiva defenestrazione potrebbe fare rumore. E questo perché il suo nome non è certo di poco conto. Sale alla ribalta nel 2018, quando l’allora premier di Tripoli Fayez Al Sarraj lo ha nominato ministro dell’Interno. A lui è stato affidato il difficile compito di riorganizzare il sistema della sicurezza tripolino, frazionato e diviso tra milizie e bande di ogni tipo. È rimasto al fianco di Al Sarraj quando il suo governo ha subito l’attacco del generale Haftar nell’aprile 2019. Poi un passo di lato nel 2021, quando Al Sarraj ha salutato la compagnia e ha lasciato spazio ad Abdulhamid Ddeibah, l’attuale premier. Ma Bashagha non intendeva già allora abbandonare la politica. In realtà aspirava a candidarsi alle elezioni prospettate per la fine di quell’anno (e mai svolte).
Poi un’altra svolta. All’inizio del 2022 il parlamento di Tobruk ha ritenuto terminato il mandato di Ddeibah per via delle mancate elezioni. Ha proceduto così alla nomina, seppur tra non poche perplessità, di un nuovo premier. Ed è in questa occasione che Bashagha ha preso il testimone di capo del governo. Ma a Tripoli, Ddeibah è rimasto in sella con la Libia nuovamente caduta nella spirale di due governi che si contendono il potere.
Bashagha sperava forse in un riconoscimento internazionale, mai arrivato. Questo lo ha indebolito fortemente e il suo esecutivo è apparso da subito una scatola vuota. Ha provato così a sollevare Ddeibah con un golpe nell’agosto 2022: Bashagha, con dalla sua molte milizie da lui organizzate a Tripoli quando era ministro, era certo di poter entrare trionfante nella capitale libica. Il tentativo è però ben presto fallito. E così l’ex ministro dell’Interno, oltre a ritrovarsi senza riconoscimento internazionale, si è ritrovato anche ai margini della vita politica libica. Nell’est del Paese, controllato da Haftar e gestito politicamente dal parlamento di Tobruk, il suo esecutivo è apparso sempre più isolato. Fino alla definitiva capitolazione dei giorni scorsi.

Cosa cambia adesso per la Libia
L’uscita dall’agone politico libico di un “big” come Bashagha potrebbe avere delle conseguenze positive in Libia e, chissà, portare alla nascita di un nuovo governo unitario in grado di portare stabilità. Secondo Jalel Harchaoui, associate fellow presso il Royal United Services Institute, l’ex “premier ombra” della Libia orientale era da tempo in rotta di collisione con il generale Khalifa Haftar, comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) noto in Italia per aver sequestrato per 108 giorni i pescatori di Mazara del Vallo. “Il campo di Haftar è determinato a raccogliere fondi con ogni mezzo, anche irregolare e in modo sempre più aggressivo. Bashagha era contrario a tutto questo e questo è, in parte, il motivo per cui è stato rimosso”, afferma Harchaoui a InsideOver. Ora, secondo l’esperto, l’entourage di Haftar cercherà di estendere la sua influenza “anche a Tripoli attraverso diversi canali, compresi il dialogo diretto con i leader dei gruppi armati”.
Secondo quanto riportato da Agenzia Nova, sarebbero in corso “dei colloqui tra il clan Haftar e importanti funzionari di sicurezza della Tripolitania in Giordania, con la sponsorizzazione degli Emirati Arabi Uniti prima e ora anche dell’Egitto, appoggiati dagli Stati Uniti”. L’obiettivo è quello di varare un mega-rimpasto per unire il cosiddetto Governo di stabilità nazionale (Gsn) dell’est e il Governo di unità nazionale (Gun) dell’ovest. “Non sarà facile arrivare a un nuovo governo, ma certamente questi sviluppi semplificano il quadro: a ovest comanda Dabaiba, a est l’autorità de facto è Haftar, con i verdi (cioè gli ex gheddafiani) ormai parte dell’equazione e sempre più presenti nelle forze profonde del Paese. Un rimpasto nel breve termine è improbabile, ma non impossibile”, aggiungono le fonti dell’agenzia italiana.
E l’Italia?
Sarà un caso, ma è un fatto che questi sviluppi avvengano a pochi giorni dall’incontro di Haftar con la presidente del Consiglio dell’Italia, Giorgia Meloni. Nel faccia a faccia di due ore a palazzo Chigi, il generale libico è caduto più volte in contraddizione, soprattutto quando gli è stato fatto presente che la maggior parte dei migranti sbarcati in Italia dalla Libia sono partiti dalla Cirenaica. Nel colloquio, inoltre, Meloni ha spinto affinché nel Paese possano avvenire “elezioni presidenziali e parlamentari entro la fine del 2023”, come peraltro richiesto dalle Nazioni Unite.
Un colloquio, quello tra Haftar e Meloni, che è anche un pugno nello stomaco per la Francia, che per anni ha sostenuto con finanziamenti, armi e perfino forze speciali i tentativi (tutti falliti) di Haftar di prendere il potere “manu militari”. Gli attacchi francesi contro Meloni tradiscono un crescente nervosismo di Parigi per una politica estera sempre più deludente. Diversi Paesi africani come l’Algeria, Burkina Faso, Mali, Mauritania, Repubblica Centrafricana rifiutano ormai le inferenze francesi. Perfino in Ciad, che insieme al Niger è fondamentale per l’industria nucleare francese, la presenza di Parigi è in bilico. Al contrario, l’Italia sembra assumere una sempre maggiore influenza nel Nord Africa, nel Sahel, in Africa orientale e dunque nel Mediterraneo allargato.