Nonostante le negoziazioni in sede internazionale siano andate avanti per tre decenni, Armenia e Azerbaigian non sono stati in grado di risolvere pacificamente il conflitto territoriale riguardante la regione del Nagorno Karabakh dell’Azerbaigian e i distretti azeri adiacenti. Il modo in cui la dirigenza armena ha abusato del processo di pace per consolidare il controllo sui territori occupati e il fallimento della mediazione internazionale hanno protratto il conflitto a detrimento della pace e della sicurezza regionale.
Questo, avvenuto sullo sfondo di provocazioni consistenti da parte armena, il 27 settembre 2020 ha condotto allo scoppio della seconda guerra del Nagorno Karabakh (anche nota come la guerra dei 44 giorni), la quale, pur essendo costata migliaia di vite da entrambi i lati, ha posto fine all’occupazione delle terre azere e, perciò, al conflitto territoriale tra Armenia e Azerbaigian. La dichiarazione trilaterale firmata il 10 novembre dai leader di Armenia, Azerbaigian e Russia ha stabilito il cessate il fuoco tra i belligeranti e offerto un’occasione unica per la costruzione di una pace durevole nella regione.
L’Azerbaigian, che ha dichiarato ufficialmente “risolto” il conflitto, auspica che questa opportunità venga sfruttata per promuovere il processo di riconciliazione e aprire i canali di comunicazione e trasporto regionali, e simili appelli, sebbene meno consistenti e ridotti, sono provenuti dal governo armeno. Nonostante questo, illustrando brevemente la panoramica della situaziona attuale nel Karabakh e tra Armenia e Azerbaigian, si può dimostrare come vi siano ancora delle sfide alla sicurezza che vanno affrontate onde evitare l’insorgere futuro di dinamiche capaci di minare le iniziative di pace.
Il presidente azero, Ilham Aliyev, nella conferenza stampa del 26 febbraio 2021, lunga quattro ore e che ha visto la partecipazione di giornalisti locali e stranieri, si è dilungato a proposito di queste sfide e ha esposto quella che è la sua visione sul futuro processo di pace. Questa conferenza e una valutazione generale degli sviluppi recenti indicano che, effettivamente, la pace e la sicurezza regionale debbono fronteggiare diversi rischi e sfide.
Il revanscismo è una minaccia
La guerra dei 44 giorni tra Armenia e Azerbaigian è terminata con il ripristino del controllo azero sulla maggior parte dei territori perduti nei primi anni ’90. Questi territori, i sette distretti circostanti e altri nel Nagorno Karabakh, hanno uno statuto legale definito: sono riconosciuti internazionalmente come parte dell’Azerbaigian. In breve, Baku ha riconquistato ciò che gli spetta legalmente: non ha fatto irruzione nei territori di un altro stato.
Questo è stato il motivo per cui la maggior parte dei Paesi in giro per il mondo ha 1) supportato le politiche di liberazione dei territori occupati dell’Azerbaigian, oppure 2) ha mantenuto la neutralità. Eloquentemente, persino Iran e Russia, due Paesi che hanno una tradizione di relazioni solide con l’Armenia, hanno effettuato delle dichiarazioni inequivocabili durante e dopo la guerra, riconoscendo la regione come parte dell’Azerbaigian e, nel caso iraniano, congratulandosi con la dirigenza azera per la vittoria.
Questo non è soltanto un riconoscimento dell’integrità territoriale dell’Azerbaigian da parte della comunità internazionale, ma dovrebbe anche fungere da sveglia per le forze politiche e i nazionalisti dell’Armenia: le politiche espansionistiche e irredentiste non hanno spazio nel ventunesimo secolo. I tentativi di rivitalizzare il conflitto e ristabilire il controllo illegale dell’Armenia sul Karabakh non soltanto porrebbero una seria sfida alla pace regionale, ma impedirebbero anche la riconciliazione tra le due nazioni – con il rischio annesso di nuove tragedie umanitarie e spargimenti di sangue.
Il rifiuto della realtà postguerra come fonte di escalation
Né il governo armeno né l’opposizione politica hanno, finora, osato sfidare la dichiarazione trilaterale. Gli articoli più importanti della dichiarazione, cioè la devoluzione di tre distretti (Agdam, Kalbajar e Lachin) e lo scambio dei prigionieri di guerra, sono stati debitamente implementati. In linea con il punto nove della dichiarazione, le parti si stanno attualmente focalizzando sull’apertura dei collegamenti di trasporto regionale che consentiranno di sbloccare il movimento di cittadini, veicoli e beni attraverso la regione.
Il presidente Aliyev, in risposta ad una domanda sulla possibilità di un rigetto futuro del documento da parte armena, ha reiterato i precedenti avvisi del presidente russo Vladimir Putin, il quale ha dichiarato che ciò sarebbe un suicidio per l’Armenia.
Il governo armeno, comunque, ha fatto delle mosse che minacciano il processo di pace e piantano dei semi per future escalazioni: le visite illegali di ufficiali armeni nel Karabakh attraverso il corridoio di Lachin senza il consenso del governo azero, il dispiegamento illegale e camuffato di personale militare armeno nella regione e operazioni di sabotaggio che hanno causato tensioni tra Yerevan e Baku. Questi gesti sono stati commessi in totale sfregio ai principi della dichiarazione trilaterale.
Le proteste a Yerevan da parte dei genitori dei militari che stanno venendo inviati nel Karabakh, e le loro richieste che questa pratica abbia fine, dimostrano che l’Armenia sta approfittando delle opportunità di comunicazione tramite il corridoio di Lachin offerte dall’Azerbaigian e che lo sta utilizzando anche per fini militari – in violazione della dichiarazione trilaterale. Il governo azero ha messo in guardia l’Armenia da queste provocazioni e invitato gli operatori della pace russi ad aumentare la vigilanza contro l’utilizzo improprio del corridoio di Lachin.
Gli attori esterni dovrebbero promuovere la pace
Il vicinato del Caucaso meridionale, gli altri stati e le organizzazioni internazionali coinvolte nella regione debbono rispondere opportunamente a queste minacce alla sicurezza che rappresentano una sfida per il delicato equilibrio regionale e per il processo di pace. La guerra e gli sviluppi successivi sono la dimostrazione che i principali attori in grado di influire sulla situazione regionale, per via del leveraggio adeguato e degli strumenti a disposizione, sono Turchia e Russia. Mettendo le altre conseguenze da parte, questa situazione getta su di loro una responsabilità significativa ai fini del foraggiamento delle iniziative di pace e della prevenzione di future escalazioni.
Gli attacchi missilistici dell’Armenia contro i civili – a Ganja, Barda e in altri villaggi azeri – dovrebbero obbligare i suoi alleati a riconsiderare la loro cooperazione militare con questo Paese. Perché, se da una parte la fornitura di missili a lungo raggio incoraggia le politiche espansionistiche della dirigenza armena, dall’altra causa tragedie umanitarie e crimini di guerra quando si arriva al confronto militare.
Il presidente Aliyev ha evidenziato le potenziali ripercussioni di questo processo dichiarando che “la fornitura all’Armenia di armi come i missili Iskandar non serve la stabilità del Caucaso meridionale”. Ha anche messo in guardia contro quei piani supportati dall’esterno inerenti la modernizzazione dell’armata armena, dichiarando che “i russi si dicono pronti ad ammodernare le forze armate armene” e domandandosi retoricamente “ma se stiamo parlando di pace duratura, ha senso farlo?”.
In luogo di nuovi piani di militarizzazione, questi attori esterni dovrebbero dedicare maggiori forze alle iniziative di cooperazione regionale, inclusa l’idea di costruire di una piattaforma cooperativa a sei (Armenia, Azerbaigian e Georgia + Russia, Iran e Turchia). Il fatto che non soltanto l’Azerbaigian abbia cognizione dei potenziali benefici del processo di pace per i popoli della regione, ma anche il governo armeno, lascia sperare che i due Paesi saranno in grado di superare le attuali sfide alla sicurezza e porre fine all’inimicizia di lunga data.