Le discussioni sulla “sovranità europea” e sull’autonomia strategica dell’Europa nel contesto del mondo globalizzato stanno divenendo sempre più di attualità e coinvolgeranno anche le riflessioni politiche dei prossimi anni e decenni nei principali Paesi del Vecchio Continente.
In quest’ottica di riflessione, l’Europa dovrebbe essere capace di svolgere un ruolo autonomo e strategico nel contesto geopolitico superando la tradizionale tendenza dei suoi Paesi ad essere oggetto, e non soggetto, delle questioni di rilevanza globale. Un vero e proprio terzo polo tra Stati Uniti e Cina, capace di autonoma proiezione e di dividere le proprie riflessioni strategiche da quelle dell’egemone di Oltre Atlantico senza tuttavia dover necessariamente subire l’influenza di altri potentati.
Storia dell’idea di sovranità europea
L’Europa sovrana, autonoma e indipendente è stata immaginata in diversi frangenti della storia. Nel secondo dopoguerra, poco dopo la nascita della Nato, il ministro degli Esteri italiano Carlo Sforza, il presidente del Consiglio Alcide de Gasperi e l’omologo francese Renè Pleven idearono la strategia della Comunità Europea della Difesa per inserire, pur nel quadro ordinatore dell’Alleanza Atlantica, un primo embrione di esercito comunitario nel disegno politico per l’Europa unita. Il voto contrario al Parlamento francese dei comunisti e dei gollisti fece naufragare l’iniziativa. Ma proprio il generale De Gaulle, tornato al potere nel 1958, iniziò a immaginare l’Europa delle Patrie, un’Europa di Stati sovrani, confederale, frutto del perenne dialogo tra nazioni e capace di conseguire un crescente gradiente di autonomia dagli Usa anche attraverso l’accelerazione del programma atomico che aveva condotto Parigi a dotarsi della force de frappe.
L’Europa “terza forza” di De Gaulle, immaginata sotto tutela francese, vedeva il Regno Unito come un potenziale concorrente, la longa manus di Washington, tentò una strutturazione nel quadro del Piano Fouchet, ma fu osteggiata dai piccoli Paesi della Cee, Paesi Bassi e Belgio; erano gli anni in cui Jean-Jacques Servan Schreiber teorizzava la “sfida americana”, ovvero l’attestazione del fatto che sul lungo periodo rinunciando a competere nel settore dell’innovazione, dell’alta tecnologia, dell’autonomia militare i Paesi europei sarebbero diventati sempre minoritari rispetto agli Stati Uniti. Così è stato dagli Anni Settanta/Ottanta ad oggi. Erano anche gli anni dell’Europa “imperiale” teorizzata dagli esponenti della Nuova Destra, tra cui il fondatore belga della Giovine Europa Jean Thiriart, teorizzante una forma di “nazionalismo europeo” capace di pensare a un super-Stato nel Vecchio Continente realmente autonomo e indipendente.
La sovranità europea oggi
Più recentemente, dopo lunghi decenni di allineamento e convergenza tra le politiche dei due lati dell’Atlantico, favoriti dal carattere occidentale del processo di globalizzazione, sul tavolo è tornata la questione dei gradienti di autonomia che l’Europa potrebbe conquistarsi nei settori decisivi.
La pandemia di Covid-19 ha accelerato queste riflessioni, non fosse altro per il fatto di aver profondamente accentuato diverse faglie valoriali tra l’Europa e le potenze dominanti dell’agone globale. Gli Stati Uniti sono parsi distanti in quanto a organizzazione sociale, dottrina socio-economica perseguita (con un forte straniamento politico tra la spinta a salvare l’economia e quelle per proteggere le vite umane che ha avuto rari paragoni in Europa), priorità strategiche. Già da tempo il tentativo di Washington di coinvolgere l’Europa intera nel contenimento della Cina non stava ottenendo gli stessi successi di quello perseguito per contenere la Russia negli scorsi anni. Parimenti, anche la Cina è sempre più distante dal cuore politico dell’Europa, risultando le sue caratteristiche di potenziale concorrente geopolitico, industriale, tecnologico sempre più prominenti rispetto alla natura di partner-chiave per l’economia.
Anche il Regno Unito, uscendo dall’Unione Europea, si è lanciato nella ricerca di una via autonoma nel mondo multipolare che ne mostra la vocazione di potenza atlantica e finanziaria, altro rispetto all’Europa. La Nato, invece, sta mostrando diversi segnali di cedimento nel teatro più spesso negletto, anche per responsabilità dei Paesi europei: il Mediterraneo. Negli ultimi anni Emmanuel Macron e Angela Merkel hanno deciso di prendere in mano il dossier dell’autonomia strategica europea mano a mano che l’asse franco-tedesco si è rinforzato e valorizzato. La Germania non intende più essere colosso economico e nano geopolitico, mentre Parigi non vede l’ora di saldare alla potenza commerciale e tecnica di Berlino il suo apparato militare e la sua proiezione geopolitica per orientare il timone dell’Europa. Andando anche i ristretti confini dell’Unione Europa qualora essi rappresentassero, in temi come la concorrenza, una briglia ai progetti di autonomia.
Nel quadro della risposta alla catastrofe pandemica la Germania della Merkel ha promosso importanti progetti di consolidamento geopolitico. Non possono essere esclusi dai calcoli l’avvio dei complessi piani di sovranità digitale europea portati avanti attraverso il progetto Gaia-X, le continue negoziazioni con la Russia per proseguire il gasdotto North Stream 2 e mosse strategiche come la scelta di occupare finanziariamente la casella fondamentale del porto di Trieste. Mosse che segnalano come a tutto campo Berlino voglia consolidare la sua posizione di piattaforma continentale cruciale per commerci, interscambio economico, traffico dati e energia.
Macron, al contempo, dopo aver parlato in passato di “morte cerebrale” della Nato e di necessità di una nuova strada per l’Europa, sta spingendo fortemente per la sovranità digitale promuovendo assieme a Berlino Gaia-X ed è tornato a parlare di piani di autonomia militare che, al momento, si scontrano con i dubbi della Commissione von der Leyen.
Le rotte future
Su queste basi si potrà discutere per capire come si evolverà l’avvenire. I progetti di sovranità europea presentano grandi opportunità per i Paesi membri e altrettanti interrogativi.
In primo luogo, in un contesto come quello del mondo post-pandemico, segnato dalla crescente competitività dei sistemi-Paese e dei capitalismi nazionali, in Europa appare necessario capire la presenza di eventuali linee di tendenza comuni per capire se esistono i margini per evitare di finire “cannibalizzati” in settori rilevanti come l’alta tecnologia, il 5G, l’energia e via dicendo da attori più grandi esterni al Vecchio Continente.
In secondo luogo, grandi progetti europei in campi così ad alto potenziale possono creare un effetto moltiplicatore in termini di occupazione, crescita tecnologica, Pil, ricerca scientifica.
In terzo luogo, è bene considerare che Paesi come l’Italia dovrebbero valutare in che modo la componente “renana” franco-tedesca dei piani di sovranità digitale possa saldarsi con strategie volte a valorizzare la presenza europea nel teatro più adatto alle ambizioni di Roma, il Mediterraneo. Dovremmo in questo contesto ricordare per i decenni a venire la lezione di Camillo Benso di Cavour, secondo cui l’Italia deve guardare all’Europa continentale senza complessi di inferiorità, e quella di Enrico Mattei, che ci ricorda come sia il Mare Nostrum lo spazio d’elezione per il sistema-Paese.
Infine, l’Europa è forte di un capitale consolidato in termini di cultura, civiltà e storia che può permettere di creare un’identità comune oggi esemplificata in una serie di questioni prioritarie come la tutela del lavoro, il welfare e la difesa della sfera sociale e umana che non hanno paragoni in altri angoli del mondo.
Parimenti il progetto di sovranità europea dovrà risolvere diversi nodi in futuro.
Il primo si chiama nientemeno che Unione Europea. La confederazione continentale oggi si sostanzia in un grande mercato dotato di regole ispirate alla globalizzazione Anni Novanta, ovvero in grado di favorire la competizione tra mercati, la svalutazione interna, l’economicismo a scapito del pensiero politico e strategico. Al contempo, l’Ue appare un’organizzazione “post-storica” e sembra rispecchiare ben poco della lunga tradizione europea.
Il secondo è il vizio egemonico di alcuni Paesi, come la Francia, che avrebbero tutto da guadagnare da progetti in grado di consolidare una reale autonomia strategica europea in settori in cui Parigi può dire la sua, ma che rischiano di rendere Paesi come l’Italia sospettosi sui fini ultimi di un’autonomia di questo tipo. Con legittime e concrete preoccupazioni.
Infine, ci sono macro-trend che giocano a sfavore dell’Europa. Dalla demografia alla rilevanza militare su scala globale, dalla tradizionale competitività tra Stati alla facile permeabilità dei governi alle ingerenze delle maggiori potenze, l’Europa è facilmente divisibile nelle sue molteplici faglie interne.
Della sovranità europea bisognerà sapere cosa fare e in che portata. Certamente nessuno immagina nei decenni a venire un’Europa capace di comportarsi con Cina e Usa come essi si approcciano reciprocamente. La ricerca di un gradiente di indipendenza in settori strategici e vitali per l’economia e la quotidianità dei cittadini europei quali il digitale, la tecnologia, l’industria e la finanza è però un percorso che vale la pena di essere intrapreso. Fermo restando che bisogna considerare come i paletti precedentemente elencati restino questioni di difficile aggiramento. Primo fra tutti il ruolo di un’Ue sempre più anti-storica nella sua stessa concezione.