Keir Giles, direttore del Conflict Studies Research Centre e uno dei massimi esperti dello scontro tra Russia e Occidente, ha definito all’Agi la lista di richieste del Cremlino alla Nato una “letterina dei desideri di Natale”. Per Anton Barbashin, la Federazione Russa “chiede di vedere riconosciuta la propria sfera d’influenza e non offre quasi nulla in cambio”, mentre secondo Dmitri Trenin – sempre come riporta Agi – la lettera di richieste all’Alleanza atlantica “suggerisce che Mosca, giustamente, considera improbabile che l’Occidente li accetti”.
Il mondo degli esperti – pur con delle diverse sfaccettature – sembra dunque concordare su un fatto: la lista di richieste da parte della Russia a Stati Uniti e Nato per ottenere garanzie sulla propria sicurezza non sarà accettata né da Bruxelles né da Washington. E anche Mosca, che gioca a carte scoperte manifestando al mondo i propri intenti, è consapevole che tutto questo non si tramuterà in un negoziato effettivo. Almeno su canali ufficiali.
La richiesta del Cremlino è molto chiara. Fin troppo, aggiungono gli osservatori. Vladimir Putin ha offerto all’amministrazione americana e al blocco militare di cui è vertice due bozze di accordi: uno con la Nato e uno bilaterale solo tra Russia e Stati Uniti. I documenti sono visibili sul sito del ministero degli Esteri russo.
Le proposte russe alla Nato
Nella prima proposta di accordo, quello multilaterale tra Mosca e l’Alleanza Atlantica, le parti, su proposta russa, si dovrebbero impegnare in particolare su alcuni punti. Il primo è obiettivo è quello di non rafforzarsi singolarmente a scapito della controparte e di non “creare condizioni o situazioni che pongono o potrebbero essere percepite come una minaccia alla sicurezza nazionale”. Si ribadisce che Nato e Russia non si considerino avversarie, mantenendo linee dirette di comunicazione e migliorando i meccanismi di prevenzione per incidenti. Si richiede, inoltre, che “la Federazione Russa e tutte le Parti che erano Stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico rispettivamente dal 27 maggio 1997, non dispiegheranno forze militari e armamenti sul territorio di nessuno degli altri Stati in Europa oltre alle forze di stanza su tale territorio a partire dal 27 maggio 1997“. La data è quella del summit di Parigi tra Russia e forze del blocco occidentale ma anche precedente all’ingresso nella Nato dei Paesi baltici, della Polonia e di altre nazioni balcaniche.
Inoltre, a parte proporre di evitare dispiegamento di missili, di rafforzare le attività militari su tutti i Paesi di confine appartenenti alla Nato ed evitare esercitazioni troppo ampie, quello che viene richiesto alla Nato come principio per garantire la sicurezza della Russia è il contenuto dell’articolo 6 della bozza di accordi inviata ai vertici atlantici, cioè che tutti gli Stati membri del patto atlantico “si impegnano ad astenersi da qualsiasi ulteriore allargamento della Nato, compresa l’adesione dell’Ucraina e di altri Stati”.
La bozza di accordo con gli Stati Uniti
Le richieste agli Stati Uniti, contenuta nell’altra bozza presentata dal governo di Mosca, coincidono in larga parte con quanto proposto alla Nato, con la differenza che vi sono elementi più specifici per regolare il rapporto anche militare tra due potenze rivali. Si chiede in particolare che entrambe le parti contraenti “non utilizzeranno i territori di altri Stati al fine di preparare o eseguire un attacco armato contro l’altra Parte o altre azioni che ledano i principali interessi di sicurezza dell’altra Parte”. E anche in questo caso, viene richiesto agli Stati Uniti di impegnarsi a contrastare l’adesione di ex repubbliche socialiste sovietiche alla Nato, impegnandosi inoltre a non stabilire basi o utilizzare infrastrutture militari in Paesi che erano del blocco socialista e che non sono membri dell’Alleanza atlantica. In pratica l’Ucraina.
Inoltre, sul fronte missilistico e delle armi nucleari, il Cremlino propone alla Casa Bianca di non dispiegare basi di lancio terrestri per missili a medio e corto raggio dentro e fuori i confini nazionali per colpire le parti contraenti, astenendosi “dal dispiegare armi nucleari al di fuori dei loro territori nazionali” eliminando le infrastrutture per il loro utilizzo presenti al di fuori dei confini nazionali.
Garanzie impossibili da ottenere
Le proposte di garanzia di sicurezza, come ha spiegato il viceministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov, “non sono un ultimatum”, ma una richiesta di trovare un punto di accordo che faccia sì che i Paesi ritrovino canali di dialogo. Mossa che il Cremlino fa da diverso tempo, tanto che lo stesso presidente Putin aveva paventato queste garanzie “legalmente vincolanti” anche nei vertici fisici e virtuali avuti con l’omologo americano Joe Biden.
Le richieste però come spiegato da diversi analisti, rischiano di rimanere una mossa politica ben poco concreta sul fronte strategico. E soprattutto per quanto riguarda l’Europa orientale. Se infatti le proposte russe possono apparire molto concrete sul piano pratico e in linea con le garanzie richieste da sempre da Mosca per la propria sicurezza nazionale, è anche vero che tutto questo si basa su concezioni strategiche, ma se vogliamo anche filosofiche, del tutto irricevibili per Washington così come a Bruxelles. Insomma, Mosca pone dei punti razionalmente in grado di attirare l’attenzione dell’opinioni pubbliche e di alcuni segmenti politici. Ma è altrettanto evidente che negli apparati russi siano perfettamente consapevoli dell’impossibilità di accettare una bozza di accordo come questo.
Innanzitutto per una logica di sfere di influenze che oggi appare inusuale rispetto alla fine della Seconda guerra mondiale e agli inizi della Guerra Fredda che ha caratterizzato la seconda metà del Novecento. Lo spiega lo stesso Giles ad Agi: “La proposta russa si rifà agli accordi di Yalta del ’45 e al Congresso di Vienna del 1815, quando il mondo si divise in due sfere di influenza. Ma questo è incompatibile con come le relazioni internazionali funzionano e con il concetto di indipendenza inteso nel ventunesimo secolo. La Russia sta presentando richieste che vengono dal passato”. L’idea, in sostanza, è che oggi non si possa chiedere pubblicamente a un’altra potenza di decidere insieme le sorti di un Paese senza colpo ferire, dal momento che questo contrasterebbe con principi di autodeterminazione e di rispetto delle sovranità altrui che, almeno formalmente, devono essere accettate come postulati diplomatici.
Inoltre, la Russia sta chiedendo agli Stati Uniti e alla Nato un ripensamento generale della politica estera di un impero che Washington, accettandola, tradurrebbe in una resa incondizionata. L’esistenza dell’Alleanza atlantica si fonda proprio sulla possibilità per gli Usa di tutelare un’area europea che va ben al di là dei propri confini, in una logica di contrapposizione di blocchi che oggi coinvolge non più solo la Russia, ma anche la Cina. L’esistenza di un blocco come quello atlantico si fonda proprio sull’idea di un’espansione verso altre nazioni desiderose di entrare nel consesso occidentale e nel desiderio americano di mostrarsi come potenza in grado di tutelare chi cerca di sganciarsi da altre sfere di influenza per entrare in quella atlantica. Chiedere di non espandersi, di non rafforzarsi, di evitare armi nucleari o missili a medio e corto raggio in territori distanti da quello nazionale delle controparti (Russia e Stati Uniti) di fatto è una richiesta che sradica il concetto stesso di esistenza della Nato. E per Washington significherebbe rinnegare la propria dottrina strategica degli ultimi decenni.
A questo si aggiunge poi il tema delle offerte russe, che nella bozza di accordo sono estremamente ridotte rispetto a quanto invece richiesto a Washington e Bruxelles. Mosca, almeno nella proposta presentata e pubblicata dal governo, non offrirebbe di fatto nulla se paragonato invece al totale ripensamento strategico domandato agli avversari. E questo risulta evidentemente impossibile da accogliere perché nessuna delle controparti considera la Federazione Russa un avversario in grado di dettare condizioni.
Un segnale di dialogo o il contrario?
Il dubbio dunque è che questo tipo di bozze possano celare due diversi messaggi. Da una parte, come detto, la Federazione Russa vuole fare capire al mondo di non essere lei la potenza che non vuole avere canali di dialogo. L’impressione è che il Cremlino abbia interesse in ogni caso a dimostrarsi aperto a un accordo. E farlo pubblicamente serve allo scopo di produrre un’immagine di potenza che vuole non solo il dialogo, ma la stabilità internazionale.
D’altra parte – e questo lo spiega soprattutto Trenin – Mosca è certamente consapevole che queste richieste presenta a Europa e Stati Uniti non saranno accolte. Motivo per cui la Russia “dovrà garantire da sola la propria sicurezza, probabilmente con mezzi militari e informatici”. Con il rischio che le tensioni aumentino periodicamente fino a giungere a escalation difficili da regolare sulla base dei semplici accordi legali. Inviare proposte molto ampie e considerati già di base non accoglibili potrebbe dunque presupporre l’idea che, almeno sul fronte dell’Europa orientale, il dialogo è sostanzialmente paralizzato. Un problema che le cancellerie di tutto il mondo cercano di risolvere ma con una serie di meccanismi ad incastro che non appaiono di facile risoluzione. Le crisi in cui sono coinvolte, su parti contrapposte, Russia e Occidente, sono oggi moltissime. I canali di dialogo necessitano di linfa vitale che non sembrano in grado di ricevere da alcuna parte. E in tutto questo esiste sempre il nodo cinese: con la superpotenza esclusa da questo dialogo ma bene attenta a quanto avviene nel cuore dell’Eurasia.