Il suo territorio è grande quanto quello dell’Abruzzo, ma al suo interno convivono almeno 18 diverse comunità religiose oltre che a migliaia di profughi tra palestinesi e siriani. Il Libano, tanto piccolo quanto strategico per gli equilibri del medio oriente, è tornato sotto i riflettori dopo l’esplosione che lo scorso 4 agosto ha distrutto il porto di Beirut ed ha ucciso più di 200 persone. Quella detonazione ha svelato ancora una volta tutte le fragilità che da sempre contraddistinguono il Paese dei cedri. La gente è allo stremo per un’economia in perenne affanno, ma anche per via della sensazione di ritrovarsi perennemente impelagati in un contesto di endemica corruzione in grado di frenare ogni sviluppo del territorio. Interessi settari, familiari e di clan che la tragedia di inizio mese ha contribuito a rendere ancora più evidenti.
Gli interessi politici in ballo
Il vero problema è che il Libano non ha mai trovato una sua precisa collocazione, tanto a livello interno quanto in politica internazionale. Un’identità nazionale è quasi impossibile da ravvedere quando, soprattutto dall’esterno, gli interessi appaiono talmente delicati da rendere quasi impossibile ingerenze nella vita politica del Paese. Qui vivono i cristiani maroniti, ma ci sono anche sunniti e sciiti i quali il più delle volte sono chiamati a rispondere ai rispettivi sponsor internazionali. Per questo motivo il Libano ha già vissuto una lunga guerra civile, culminata soltanto con gli accordi di Taif del 1989. In quell’occasione è stato stabilito che la rappresentanza politica doveva tenere conto delle divisioni settoriali. E quindi dovevano esserci tanti parlamentari cristiani quanto quelli musulmani, da allora le cariche più importanti sono suddivise in base alla confessione di appartenenza: il premier deve essere sunnita, il presidente del parlamento sciita mentre il presidente della Repubblica cristiano maronita. Questo complica il ricambio di una classe politica giudicata oramai dalla gran parte della popolazione come inadeguata, così come alimenta piccoli potentati settari capaci di tenere sotto scacco il Paese. Formare un governo è impresa ardua: per arrivare alla nomina di Saad Hariri ci sono voluti mesi, stesso discorso per Hassan Diab, il premier dimessosi dopo l’esplosione. Cercare adesso un successore appare opera ardua, probabilmente il Libano resterà senza un governo con pieni poteri in carica per lungo tempo.
In ballo però non ci sono soltanto gli equilibri interni. Al contrario, su Beirut sono puntati i fari di tutte le diplomazie del medio oriente. I sauditi vorrebbero un premier a loro più vicino con l’obiettivo di isolare quanto più possibile le formazioni sciite, ritenute affini all’Iran. Tra queste ultime figura Hezbollah, la cui milizia nei mesi scorsi ha raggiunto nuovi picchi di tensione con Israele. Lo Stato ebraico, dal canto suo, teme un Libano più vicino a Teheran e pienamente organico in quella “mezzaluna sciita” teorizzata soprattutto dal generale Soleimani, ucciso a Baghdad il 3 gennaio scorso da un raid Usa. Nel Paese quindi convergono tutte le tensioni mediorientali: il braccio di ferro tra le varie potenze regionali si riflette inesorabilmente su un Libano sempre più lacerato socialmente e braccato economicamente.
Le mani sulla nuova rete elettrica
Gli interessi però non sono soltanto di natura politica. Al contrario, il Libano è sì grande quanto l’Abruzzo ma ha al suo interno quattro milioni di abitanti, poco più o poco meno. Si tratta quindi di un importante mercato mediorientale, un tempo molto florido visto che il Paese dei cedri aveva la nomina di “Svizzera del medio oriente”. Qui il sistema bancario fino a pochi anni fa reggeva di fatto l’economia: erano 54 le banche private, in grado di macinare, come sottolineato da IlSole24Ore, profitti su profitti anche nel momento in cui in occidente la finanza iniziava a scricchiolare. Il collasso del settore bancario, agevolato dalla crisi scatenatasi con la guerra nella vicina Siria, ha messo a nudo le difficoltà economiche del Libano. Il Paese si è ritrovato senza la possibilità di far fronte anche ai più basilari servizi. E chi arriva a Beirut sa bene che, nonostante i negozi con le grandi firme ed una vita notturna proseguita nonostante le difficoltà, deve convivere con frequenti blackout. La rete elettrica è vetusta, non riesce a reggere la pressione data dai quattro milioni di abitanti e dall’ondata di profughi dalla Siria. A volte le autorità locali sono costrette a razionare l’erogazione della luce, circostanza questa che fa assomigliare drammaticamente il Libano ad una nazione del terzo mondo.
Una difficoltà che però all’estero potrebbe anche rappresentare un’opportunità. Il governo di Hariri prima e quello di Diab poi, hanno messo in campo alcuni bandi per l’ammodernamento della rete elettrica e la costruzione di nuove centrali. Ed è partita una corsa che vede in campo quattro Paesi, tra cui l’Italia, per mettere le mani su affari potenzialmente miliardari. Dalla tedesca Siemens all’americana General Electric, passando per la giapponese Mitsubishi e la nostra Ansaldo Energia, sono queste le società con cui l’esecutivo di Diab aveva fatto avanzare importanti contrattazioni per arrivare ad accordi sulla nuova vitale rete. L’instabilità di queste settimane ha rallentato l’iter per l’aggiudicazione dei bandi, ma l’affare resta in piedi. Ed anche sull’elettricità in Libano si è aperta una partita che fa gola soprattutto all’estero.
La questione del debito
C’è poi un altro capitolo, non meno importante, che riguarda il debito pubblico libanese. Esso è il secondo più alto al mondo e comprende il 170% del Pil, un’enormità per un Paese così piccolo. Un debito che non è più possibile sostenere, lo stesso forte sistema bancario rischia seriamente di andare in difficoltà. Una grana ben espressa già dall’ex premier Diab a marzo, quando ha dichiarato in diretta televisiva che “Il debito è diventato più grande di quanto il Libano possa sostenere ed è impossibile per i libanesi pagare gli interessi”. Beirut vorrebbe iniziare e negoziare una ristrutturazione del debito, circostanza quest’ultima che potrebbe avere non poche conseguenze di natura politica. Il problema è adesso capire chi negozierà, visto che il governo non c’è più e le forze parlamentari hanno idee molto diverse tra loro su come ridiscutere la questione del debito. Un’altra grana destinata a mettere il Libano sulla graticola internazionale.
IlGiornale.it e InsideOver sono al fianco della popolazione libanese. In questi giorni è partita una raccolta fondi per aiutare chi ha perso tutto nel disastro di Beirut. Chi è interessato a sostenere l’iniziativa può inviare una donazione tramite le coordinate che segnaliamo di seguito:
LB17007500000001140A72559800
Causale: L’Italia per il Libano
Nome del titolare: Charles Georges Mrad
Nome della banca: Bank of Beirut
Indirizzo: Bob – Palais de Justice Branch
SWIFT: BABELBBE
Oppure, con la stessa causale:
VA35001000000048616001
Nome del titolare: Chiesa S. Maria in Campo Marzio
Conto: 48616001
BIC: IOPRVAVX o IOPRVAVXXXX