In Algeria manca poco più di una settimana alle elezioni presidenziali e, come prevedibile, la tensione rischia di aumentare giorno dopo giorno. Il paese nordafricano sta chiudendo l’anno come l’aveva iniziato, all’insegna cioè di manifestazioni contro la classe politica e con studenti ed associazioni che non hanno mai abbandonato la piazza. E sul 2020 le incognite non mancano.

Quella strana campagna elettorale

Come ben si sa, tutto è partito dallo scorso mese di febbraio e cioè da quando l’allora presidente Abdelaziz Bouteflika ha annunciato la candidatura ad un quinto mandato. Lui, in sedia a rotelle e con ben poca lucidità già dal 2013 per via di un ictus, non rappresentava di certo la figura ideale per guidare il paese. Tuttavia, “le pouvoir” algerino non aveva trovato alcuna figura alternativa a cui passare le redini. E così il paese è sceso in piazza. Non era soltanto un moto contro Bouteflika ma, in generale, contro una classe politica ritenuta oramai poco in grado di governare l’Algeria. Le proteste sono state quasi sempre pacifiche, anche perché il capo di stato maggiore dell’esercito Ahmed Salah ha deciso di non far intervenire soldati ed agenti per far svuotare le piazze.

Il resto è storia ben nota: il 2 aprile Bouteflika ha rassegnato le dimissioni da presidente, rinunciando ovviamente anche alla candidatura. Lo scettro è passato al presidente del parlamento Bensalah: è lui a guidare una difficile transizione, segnata da nuove proteste che soprattutto ogni venerdì riempiono le piazze del paese. Il capo di Stato ad interim ha promesso nuove elezioni a luglio, ma nessun candidato di rilievo si è presentato e dunque è stato stabilito un nuovo rinvio. La data definitiva dovrebbe essere quella del 12 dicembre: questa volta 5 candidati sono stati ammessi alla competizione elettorale e la macchina organizzativa delle consultazioni è potuta partire ufficialmente.

Ma le elezioni non sono benvolute dai manifestanti. Questi ultimi hanno sì chiesto un cambio di rotta in vista delle presidenziali, ma per i tanti gruppi ed i tanti movimenti sorti in questi mesi le consultazioni altro non dovrebbero essere che la chiosa finale di un percorso di totale rinnovamento della classe politica. Un cammino che, nelle intenzioni dei manifestanti, già ad aprile non doveva essere gestito né da Bensalah e né da altri uomini legati alla precedente presidenza. Secondo studenti ed associazioni, le elezioni del prossimo 12 dicembre serviranno solo a legittimare l’attuale governance. Per questo, a dispetto di un paese le cui recenti dinamiche sono state determinate anche in piazza, comizi ed incontri elettorali non stanno riscuotendo alcun interesse. Anzi, la campagna elettorale è surreale: i manifestanti a volte hanno provato ad interrompere i comizi, scontri ad Algeri ed in altre città si sono registrati anche nell’ultimo venerdì di novembre.

Quali gli scenari?

Le povoir algerino vorrebbe chiudere la partita delle presidenziali al più presto, in modo da dare al paese un nuovo capo dello Stato e far superare una fase di stallo lunga quasi un anno che certamente non ha giovato al paese. Anche se, nonostante l’instabilità in piazza, nei palazzi del governo l’attività politica è comunque andata avanti. Negli ultimi giorni sono stati approvati due strumenti economici non certo secondari: si tratta, in particolare, della riforma del mercato energetico e del bilancio 2020. Due norme non considerabili “ordinarie” e figlie di una semplice gestione ad interim del governo.

Ma in vista del 12 dicembre le incognite non mancano. In particolare, c’è da chiedersi se la piazza accetterà o meno i risultati elettorali e darà o meno legittimazione al futuro presidente. E soprattutto, è tutta da verificare la legittimità politica delle consultazioni: il rischio concreto è che, per via della linea dei manifestanti, ai seggi vadano poche persone, invalidando di fatto le elezioni. A quel punto potrebbe essere difficile capire quale strada prenderà la già difficile transizione algerina.

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