Di tregue in Libia ne sono state proclamate parecchie negli ultimi anni. Poche di queste intese in realtà hanno realmente funzionato. E anche se nel cessate il fuoco annunciato il 23 ottobre scorso c’è la dicitura “permanente”, lo scetticismo è più che giustificato. A Ginevra le parti che hanno siglato la tregua erano rappresentanti del Gna, ossia l’insieme di forze a sostegno del governo di Al Sarraj, e del Libyan National Army, ossia l’esercito del generale Haftar. I colloqui tra i due fronti opposti si sono svolti con la formula del “5+5” concordata in occasione della conferenza di Berlino. Ma gli attori in Libia sono molti di più. E le variabili e le incognite appaiono praticamente infinite.

Le perplessità sulla “mega riunione” di Tunisi

La proclamazione di un cessate il fuoco permanente ha rappresentato già un primo importante passo. Non scontato e non semplice, tra le altre cose. Ma è presto per dire se la tregua si rivelerà o meno un mero foglio di carta da esibire a favore di telecamera. In primo luogo perché il cessate il fuoco dovrebbe essere propedeutico, per risultare realmente incisivo, ad altri significativi passi politici. La missione delle Nazioni Unite in Libia, l’Unsmil, in tal senso ha puntato tutto sul forum di Tunisi del prossimo 8 novembre. Si tratta di un nuovo incontro in cui radunare fazioni, gruppi, partiti e associazioni che compongono in questo momento il quadro libico. Una sorta di “super mega riunione” convocata nel disperato tentativo di incollare alla meno peggio tutti pezzi del puzzle. É qui che dovrebbe essere messa nero su bianco una valida proposta per il futuro istituzionale del Paese nordafricano. Stephanie Williams, attuale reggente della missione Onu, si è detta ottimista.

Ma dalla Libia non sono arrivati segnali così promettenti. Al contrario, la lista dei partecipanti non è andata giù proprio a tutti. Come ad esempio a Zaidan Maatouq al-Zadma, capo del comitato di riconciliazione del Consiglio supremo delle tribù. Secondo quanto riportato da Al Arabiya, quest’ultimo avrebbe deciso di dar forfeit a Tunisi in quanto a suo dire ci sarebbero “figure che hanno causato sofferenze ai libici negli ultimi anni”. Stesso discorso vale per la professoressa di diritto Jazia Shaaiter, la quale ha denunciato la presenza di persone accusate di corruzione. Da est c’è poi chi ha considerato la lista di invitati in Tunisia troppo squilibrata a favore dei Fratelli Musulmani, mentre tra gli stessi membri della fratellanza c’è chi ha ritenuto incompatibile la presenza di elementi vicini ad Haftar. A sud sono giunte voci di dissenso anche dai Tuareg, i quali hanno lamentato una scarsa rappresentanza delle proprie tribù. Le promesse, a ben vedere, non sono quindi delle migliori.

Le mosse di Doha e Ankara

Se un eventuale fallimento del forum di Tunisi potrebbe incidere sulla durata a medio termine del cessate il fuoco, anche nell’immediato le cose non sembrano essere messe molto bene. A surriscaldare gli animi è stata la notizia, giunta poche ore dopo l’intesa sulla tregua, di un memorandum di intesa tra il governo di Tripoli e il Qatar. L’accordo è sulla stessa linea di quello firmato dal governo tripolino con la Turchia a novembre. Punto nevralgico è dato dalla cooperazione nel campo della sicurezza, con Doha pronta a finanziare e sostenere militarmente le forze del Gna. Secondo i rappresentanti della Camera dei Rappresentanti, principale istituzione politica dell’est della Libia, l’accordo con il Qatar viola le intese di Ginevra: “Condanniamo la violazione dell’accordo da parte del Gna con la firma di un memorandum d’intesa con il Qatar – si legge in una nota diramata dai deputati e riportata da AgenziaNova – dichiariamo che non ci siederemo al tavolo dei negoziati con Khalid Mishri e la sua società islamica inclusa nel lista dei terroristi della Camera dei rappresentanti”. Nel comunicato è palese il riferimento ai Fratelli Musulmani, sostenuti proprio da Doha e da Ankara.

E dalla Turchia dopo l’annuncio del cessate il fuoco non sono giunte parole in grado di far sperare in un lungo mantenimento del cessate il fuoco. Ad intervenire è stato lo stesso presidente Erdogan, principale sponsor del governo di Al Sarraj: “Questo cessate il fuoco in Libia non mi sembra credibile – ha fatto sapere il capo dello Stato turco – L’accordo non è al più alto livello. Vedremo per quanto tempo verrà rispettato”.

Cosa farà Al Sarraj?

In tutto questo, occorre chiedersi quale sarà il destino dell’attuale premier Fayez Al Sarraj. Quest’ultimo a settembre ha annunciato la volontà di dimettersi il 31 ottobre, rimanendo però in carica per gli affari correnti. Per lui il momento di raggiungere la famiglia a Londra e ritirarsi dal calderone libico non sembra vicino. Non sono infatti trapelati accordi per l’individuazione di un nuovo capo del governo, né di un nuovo esecutivo o di un nuovo consiglio presidenziale. A questo punto anche lo stesso passo indietro di Al Sarraj potrebbe essere messo in discussione. Segno di una situazione tutt’altro che vicina a una risoluzione.





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