I tempi per acclamare al cambiamento definitivo si possono definire ormai maturi: gli sconvolgimenti di fronte e le tornate elettorali che ci attendono da qui al G7 di Taormina del maggio 2017 possono regalarci un risultato sorprendente per le donne della politica internazionale. Tanto perché il popolo intenderà premiare – presumibilmente, a buona pace dei colleghi uomini – l’intraprendenza e la lotta di alcune di queste figure femminili, quanto perché ad ora abbiamo assistito ad un declino della qualità della rappresentanza politica (che di certo non può avere una discriminazione sessuale), la nuova stagione dell’ “estrogeno nella diplomazia” si affaccia a delle sfide di sicuro molto interessanti nel prossimo futuro.Per approfondire: La rivincita dei biondiSenza nulla togliere alle decine di donne che da diversi anni a questa parte governano in molti Stati dell’Europa Orientale e dell’Estremo Oriente, anche se esemplari figure si rinvengono anche in Africa, è proprio la massima espressione del potere politico mondiale che si appresta a godere di una composizione a maggioranza femminile. La deadline di riferimento che si esemplifica riguarda la convocazione del prossimo G7 che si terrà a Taormina, in Sicilia, che si colloca in una frazione temporale ideale per lo scenario proposto. Nel summit che vedrà riuniti i vertici politici dei primi sette Stati del mondo nel maggio prossimo si può anche azzardare la presenza di quattro capi di stato donna. Ciò perché due di questi Paesi affronteranno la tornata elettorale prima del meeting: a novembre la disfida tra il magnate newyorkese Donald Trump e la ex Segretario di Stato Hillary Clinton si sfideranno per prendere il timone della più grande democrazia del mondo, e la sfida vede una corsa più o meno indecisa, sebbene proprio Hillary goda di un vantaggio relativamente ampio di quattro punti e mezzo sul candidato populista repubblicano. Sebbene la figura della ex first lady non sia propriamente identificabile come un’icona della vittoria del femminismo e del riscatto delle donne, sebbene pare che il suo entourage sia tra i meglio pagati e quelli che meno soffrono la cosiddetta gender inequality. È però certo che le élites del Paese siano più propense a indirizzare il loro endorsement su di lei, cosa che certamente non la rende particolarmente incline alla salvaguardia sociale.Altra voce femminile, decisamente fuori da coro, potrebbe essere quella di Marine Le Pen, volto del Front National francese, rifondatrice del movimento del padre, dal quale ha ereditato la visione identitaria e patriottica, superando lo snobbismo intellettuale che contraddistingueva il partito agli albori. La grande capacità di Marine risiede nel riuscire a trovare consenso nel malcontento popolare, che sta disconoscendo repentinamente l’impronta mercantilista seguita dal socialismo liberale di Manuel Valls e Francois Hollande. Il cavallo di battaglia della Le Pen sarà dunque quella che dai più è stata ribattezzata Frexit, vale a dire la possibilità di indire un referendum di uscita dall’UE anche per Parigi, qualora la bionda conservatrice dovesse avere la meglio nel doppio turno elettorale di aprile-maggio del prossimo anno.
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