Nel corso dell’ultimo mese l’Egitto ha moltiplicato gli sforzi tesi a contrastare la crescente aggressività della Turchia in Libia e nel Mediterraneo orientale. Giovedì 2 gennaio, il parlamento di Ankara ha autorizzato il presidente, Recep Tayyip Erdogan, ad impegnare un proprio contingente militare in Libia per un anno. Poco più di un secolo dopo la fine della Guerra italo-turca, che pose fine all’occupazione ottomana della Libia, i militari turchi potrebbero tornare in un paese d’importanza strategica sia per l’Italia che per l’Egitto. Il Cairo è stato il primo paese a condannare esplicitamente e con forza l’approvazione dell’invio di forze militari turche in Libia. Per il presidente egiziano Abdel Fatah al Sisi, infatti, la crisi libica è direttamente collegata alla sicurezza nazionale dell’Egitto. Non solo: la decisione del parlamento turco è stata preceduta da un patto con il governo di Tripoli, in base al quale Ankara si arroga i diritti di sfruttamento esclusivi su tutta la fascia mediterranea che va dalla costa turca a quella della Cirenaica. Un’enorme porzione di mare rivendicata da Erdogan che dovrebbe essere attraversata dal gasdotto East-Med, che dovrebbe portare in Italia il gas di Cipro, Grecia ed Israele. I leader di questi tre paesi – tutti ostili alla Turchia – hanno firmato il 2 gennaio l’accordo per la costruzione del gasdotto ad Atene, proprio nel giorno in cui il parlamento turco ha dato il via libero l’invio di truppe in Libia. Il governo di Roma non ha preso parte al vertice, probabilmente per non irritare la Turchia, limitandosi ad inviare un messaggio di auguri per un progetto che, invece, rimpiazzerebbe validamente l’ormai fallito South Stream (che doveva essere realizzato da Eni), rispondendo all’interesse strategico di diversificazione delle fonti energetiche.
Il polo energetico dell’Egitto
L’Egitto sta lavorando da tempo insieme a Cipro, Grecia ed Israele per formare un “polo” energetico nel Mediterraneo orientale e per tagliare fuori i rivali turchi. Le autorità egiziane hanno lanciato nei mesi scorsi l’East Mediterranean Gas Forum (Emgf), scaltra iniziativa di diplomazia economica che annovera una discreta stuola di Paesi compratori, acquirenti, intermediari o semplicemente interessati al quadrante del Mediterraneo Orientale: Italia, Israele, Grecia, Cipro, Autorità nazionale palestinese, Giordania, Francia e perfino Stati Uniti fanno parte in un modo o nell’altro di questo Forum. Si tratta di un piano ambizioso, teso a sfruttare gli impianti di rigassificazione sulla costa egiziana come snodo per il commercio di energia verso l’Europa e non solo. Grazie al canale di Suez, il metano potrebbe finire nei mercati asiatici facendo concorrenza a un gigante del settore come il Qatar, rivale politico ed economico del Cairo al pari della Turchia. L’Egitto ha anche iniziato a ricevere il gas del giacimento israeliano Leviathan, uno sviluppo di rilevanza notevole per l’assetto geopolitico dell’area del Mediterraneo Orientale. Lo scorso 16 dicembre, infatti, Israele è diventato ufficialmente un importante esportatore di energia per la prima volta dopo la firma del permesso per esportare gas naturale in Egitto. Anche il gas proveniente da un altro giacimento israeliano offshore, Tamar, è destinato a soddisfare la crescente domanda di energia dell’Egitto. Il progetto rientra nel piano delle autorità egiziane per trasformare il paese in un “hub” energetico regionale che in futuro potrebbe soddisfare le esigenze energetiche dell’Europa.
Le mosse diplomatiche di Al Sisi
Il paese delle piramidi non ha molte carte a disposizione per contrastare i piani turchi, a parte le iniziative della diplomazia. Gli Stati Uniti, infatti, non sembrano interessati ad intervenire né nelle dispute sui giacimenti di gas al largo di Cipro, né sul conflitto in Libia. Gli egiziani hanno a lungo temuto di essere trascinati in lungo conflitto in Libia dai costi insostenibili. E’ molto difficile che il Cairo decida di impegnarsi in uno scontro aperto con l’invio di truppe sul terreno libico. Banalmente anche per motivi di denaro: l’economia egiziana è in crescita, ma resta fragile e legata ai finanziamenti internazionali e del Golfo. E’ più probabile che le autorità del Cairo cerchino ora di isolare diplomaticamente la Turchia aumentando al tempo stesso l’impegno “non ufficiale” sul terreno del conflitto libico. Le opzioni per l’Egitto sono quelle della sensibilizzazione diplomatica tra gli alleati e con la Lega araba, non più con l’Unione africana visto che la presidenza a febbraio passerà al Sudafrica. E’ in quest’ottica che va letto il tentativo (fallito) di spingere il consesso arabo a condannare gli accordi Tripoli-Ankara. Qatar, Sudan e Maghreb arabo si sono infatti schierati con l’esecutivo di Tripoli: sorprende soprattutto la posizione di Khartum, che dopo l’uscita di scena di Omar al Bashir si riteneva fosse entrato nell’orbita delle potenze sunnite del Golfo legate agli Emirati Arabi Uniti e all’Arabia Saudita, e dunque schierato con l’Egitto anche nel dossier libico. Evidentemente la transizione in Sudan non è ancora del tutto completa e, comunque, è difficile cancellare decenni di rivalità con gli egiziani.
L’Italia da che parte sta?
Mercoledì 8 gennaio Il Cairo ha ospitato una riunione con i ministri degli Esteri di Italia (Luigi Di Maio), Egitto (Sameh Shoukry), Francia (Jean-Yves Le Drian), Grecia (Nikos Dendias) e Cipro (Nikos Christodoulides) proprio ultimi sviluppi della crisi in Libia e sulla situazione nel Mediterraneo orientale. Al Cairo, tuttavia, il capo della diplomazia italiana non ha voluto firmare la dichiarazione finale della riunione, considerata troppo sbilanciata contro il Governo di accordo nazionale e la Turchia. Al primo punto del comunicato finale si legge che il ministro degli Esteri italiano ha partecipato all’incontro “in un quadro consultivo”, quasi a voler sottolineare la presa di distanza dell’Italia dalla dura condanna di Egitto, Francia, Grecia e Cipro del memorandum d’intesa Tripoli-Ankara sulle “piattaforme continentali” e le zone economiche esclusive dei due Stati. Nelle stesse ore il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha tentato di conciliare le posizioni dei duellanti libici Fayez al Sarraj e Khalifa Haftar, invitandoli a Roma giovedì 9 gennaio. Il generale, in effetti, è arrivato nella capitale intrattenendosi per tre ore con il nostro premier, ma Sarraj, irritato per la precedenza accordata all’avversario, e soprattutto timoroso delle reazioni dei miliziani di Misurata, è tornato da Bruxelles a Tripoli, “saltando” l’aeroporto romano di Ciampino. Il premier libico comunque è atteso oggi a Roma, ma appare fin troppo evidente come gli europei continuino ad essere drammaticamente divisi sul dossier libico, e forse lo sono anche il nostro premier Giuseppe Conte ed il responsabile della Farnesina.