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Esiste una differenza, oltre a quella in termini, tra missioni di difesa ed attacco, per un drone in missione contro lo Stato islamico in Nord Africa?Il primo ministro Matteo Renzi ha affermato la scorsa settimana che l’Italia ha accettato che dalla base di Sigonella decollassero droni armati. Droni Usa si intende. Missili e bombe di precisione dovrebbero aver già raggiunto la base siciliana e nelle prossime ore i primi droni potrebbe iniziare il primo pattugliamento “difensivo” armato.Certo, sarebbe anche opportuno chiarire che Sigonella, in Sicilia, è il cuore dell’Alliance Ground Surveillance, il più importante asset della NATO per missioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione (Joint Intelligence, Surveillance e Reconnaissance – JISR). Sigonella, sede del 41° Stormo Antisom dell’Aeronautica Militare Italiana, ospita anche il comando logistico della Sesta Flotta della Marina Usa ed è un piattaforma di lancio per gran parte delle operazioni che si svolgono nel Mediterraneo.È una base sul territorio italiano, che ospita la Naval Air Station Sigonella della Marina Usa. Sigonella, infine, è un asset della Nato. Renzi ha affermato a più riprese che l’Italia non avrebbe partecipato ad operazioni militari in Libia senza l’espressa richiesta di un governo riconosciuto e che le missioni armate dei droni Usa sarebbero state “autorizzate” caso per caso. Missioni “difensive” quindi. Escluse, secondo la versione ufficiale del premier italiano, le missioni “offensive” come quella avvenuta contro un campo militare in Libia due settimane fa.L’Italia, quindi, “autorizzerà” il decollo dei droni armati soltanto per scopi difensivi. Ma questo accordo, almeno quello pubblicamente diramato, mal si confa con le esigenze tattiche e militari. Renzi, ad esempio, non ha spiegato in tutte le sue interviste alla stampa, il ruolo dell’Italia dinanzi un’esigenza militare riconosciuta dagli Usa come prioritaria. Ad esempio: se gli Usa facessero decollare da Sigonella un drone per un pattugliamento armato e se in volo sulla Libia, si ritrovassero un bersaglio sicuro o comunque identificato ostile dal Pentagono, appare evidente che il raid avverrebbe anche senza l’autorizzazione italiana. Non si può fare decollare un drone armato con la speranza che compia soltanto un free flight. Sarebbe corretto affermare, quindi, che se da un lato il governo italiano dovrebbe avere l’ultima parola sui droni armati che si alzano da Sigonella, dall’altro Roma potrebbe soltanto essere informata qualora le esigenze militare richiedessero un raid.Esigenze militari americane che potrebbero non collimare con quelle stilate dal governo italiano. Infine, c’è poi la remota ipotesi in cui la missione di un drone decollato da Sigonella, possa essere presa in carico da un’altra agenzia: in quel caso anche la semplice comunicazione potrebbe venir meno. Da oltre un anno il governo italiano riceveva pressioni dalla Casa Bianca per trasformare Sigonella nella base degli hunter killer per le missioni in nord Africa. I droni che hanno colpito Sabratha, vicino al confine con la Tunisia, nel raid mirato all’eliminazione di Noureddine Chouchane, sono decollati da una base in Gran Bretagna. Temendo l’opposizione interna, il governo italiano ha autorizzato l’impiego dei droni armati da Sigonella per scopi “difensivi”, ma le esigenze tattiche potrebbero essere superiori a quelle politiche. Per farla breve: se gli Usa dovessero avere un bersaglio sicuro e non dovessero avere altre opzioni armate in volo, difficilmente aspetterebbero l’autorizzazione di Roma per lanciare un missile. Il governo italiano, a differenza degli inglesi ed americani, non ha mai autorizzato le missioni di targeting leader. Esigenze militari superiori che potrebbero non tenere conto delle restrizioni politiche. Sebbene principale piattaforma per la proiezione nel Mediterraneo, Sigonella, a differenza di quanto si possa pensare, non rappresenta quella ideale per questa tipologia di operazioni. Lo scorso anno, infatti, parte delle missioni di ricognizione sulla Libia sono state regolarmente annullate a causa della frequente copertura nuvolosa sopra il Mediterraneo (oltre agli ostacoli legati proprio alle condizioni climatiche della zona). Lo scorso novembre il Congresso degli Stati Uniti, dietro approvazione del Dipartimento di Stato USA, ha deciso di armare i Reaper (mietitore) italiani. L’accordo prevede un contratto iniziale da 130 milioni di dollari con General Atomics in qualità di “prime contractor”. Il governo italiano ha acquistato 156 missili AGM-114R2 Hellfire II costruiti dalla Lockheed Martin, 20 GBU-12 (bombe a guida laser), 30 GBU-38 JDAM ed altri sistemi d’arma. I sei “Reaper italiani (poco meno di undici milioni di dollari ad esemplare) sono dislocati dallo scorso anno a Sigonella. Nella medesima base, gli USA rischierano anche i Global Hawk a sostegno delle operazioni di intelligence nel Mediterraneo e nel Nord Africa. L’Italia è il secondo paese, dopo la Gran Bretagna, dotato di droni in ruolo hunter killer. La richiesta italiana per armare i droni MQ-9 Reaper (acquistati nel 2009) è stata formulata nel 2012. Il ruolo dei Reaper italiani, verosimilmente, dovrebbe limitarsi al supporto armato dei contingenti schierati all’estero sotto egida NATO. Ad ogni modo, l’Italia dovrà adesso attuare una capillare rete di intelligence che possa determinare gli obiettivi sensibili. Una capacità, messa in discussione già nel 2012 dalla commissione del Senato Usa sull’intelligence, in uno scambio epistolare tra Hillary Clinton, all’epoca segretario di Stato e Dianne Feinstein. Quest’ultima era proprio a capo della commissione che espresse perplessità sulle capacità italiana nel disporre di un tale sistema d’arma.

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