Francia e Italia arrivano a questo Trattato del Quirinale dopo anni in cui i rapporti sono apparsi tesi. Non è stato solo un problema di ordine politico. Molti lettori ricorderanno gli scontri soprattutto all’epoca del primo governo Conte, quando pentastellati amici dei gilet gialli e diverbi tra Parigi e Lega sui respingimenti dei migranti avevano portato i due Paesi sull’orlo di una crisi di nervi diplomatica. “Scaramucce” politiche che sono state solo di contorno rispetto a problemi molto più gravi e sistemici che hanno diviso le agende dei due governi. Questioni che a livello strategico sono da sempre cruciali per i due Stati e che il Trattato del Quirinale non può certo cancellare, ma che può rimodulare alla luce di una rinnovata convergenza di interessi.
Tanti i terreni di scontro di questi anni in politica estera. Innanzitutto l’asse franco-tedesco, che ha sempre rappresentato – e lo ha confermato il trattato di Aquisgrana – il vero motore dell’Unione europea. Francia e Germania, con Emmanuel Macron e Angela Merkel, hanno operato come fossero i due decisori delle sorti dell’Europa, agendo con uno spirito di condivisione che non ha coinvolto altre forze europee, a partire dall’Italia. Un problema particolarmente importante visti i rapporti economici e politici che la legano Roma con l’una e l’altra potenza europea. Eppure questi legami non hanno mai avuto un peso tale da controbilanciare il matrimonio franco-tedesco, lasciando spesso Roma isolata o coinvolta solo in un secondo momento. Situazione che sembra essere cambiata dopo l’avvento di Mario Draghi a Palazzo Chigi e la contemporanea fine del mandato di Merkel a Berlino, ma che comunque non è stata rimossa con l’avvio delle trattative per il “patto del Quirinale”.
Altro tema bollente che da anni caratterizza i rapporti italo-francesi è la Libia. Nessuno può negare l’importanza che ebbe il sentimento anti-Gheddafi di Parigi nello scoppio della guerra di Libia. Un conflitto che l’Italia ha pagato non solo con la perdita di un partner fondamentale in Nord Africa sul fronte del gas e nell’influenza regionale, ma anche con l’esplosione del fenomeno migratorio e con una crisi militare e umanitari a poche miglia dalle sue prime isole. La guerra ha poi manifestato in modo ancora più netto le divergenze tra Roma e Parigi, con la prima a sostenere il governo riconosciuto di Tripoli e la seconda che ha ammiccato più volte ad altre fazioni, in particolare a quella di Khalifa Haftar. Divergenza che si è sopita in parte per la presenza di nuovi attori extra-europei più incisivi (Russia e Turchia in primis) ma in parte anche per la scelta francese di puntare su una politica più in linea col mandato Onu e Usa.
La sfida libica si è poi manifestata in tutto il Sahel e il Mediterraneo Orientale. Nella regione africana, per molti anni la Francia ha evitato che l’Italia penetrasse troppo in un settore-chiave per la strategia dell’Eliseo. Una linea di condotta cambiata solo recentemente grazie alla nascita di Task Force Takuba, contingente europeo che sostituisce, in parte, gli uomini delle forze armate francesi nell’area saheliana. Mentre per quanto riguarda il Mediterraneo orientale, è chiaro che la partita del gas unita ai rapporti con Grecia, Egitto e Turchia sono tutti palcoscenici dove si sono instaurati duelli più o meno occulti che hanno coinvolto anche le diplomazie di Francia e Italia.
Interessi strategici che passano anche per una delle principali leve industriali della politica estera di un Paese: l’industria militare. Italia e Francia hanno vissuto anni di progetti comuni e di contemporanea accesa rivalità. La questione dei cantieri di Saint-Nazaire fu, a suo tempo, un campanello d’allarme molto importante. Un doppio binario che ha contraddistinto soprattutto il mercato navale, con Fincantieri e Naval Group ad aver cooperato e allo stesso tempo rivaleggiato in diversi angoli del mondo. Il progetto Fremm è in questo senso esemplare: un programmo italo-francese con due versioni però diverse che si giocano la supremazia nel mercato delle fregate. La questione non è solo di prestigio: in gioco ci sono miliardi di commesse e la capacità di costruire una diplomazia navale e industriale che si trasforma anche in rapporti politici.