Le apparenze, a volte, ingannano. Al termine di un’estate diversa dal solito, caratterizzata da mascherine e limitazioni, gli italiani pensavano di aver finalmente superato la pandemia di Covid-19. D’altronde i segnali erano positivi: ricoveri e decessi al minimo, terapie intensive svuotate e contagi irrisori. Che l’afa di agosto fosse veramente riuscita a sconfiggere il Sars-CoV-2? Mai speranza fu vana. Nel giro di poche settimane, l’Italia viene travolta dalla temutissima seconda ondata del virus. Un evento, questo, che ha costretto il governo giallorosso ad attuare nuove misure restrittive.
Intanto, oltre i confini del Paese, si registrano due episodi degni di nota. Il dissidente russo Alexei Navalny, uno dei più celebri detrattori del Cremlino, accusa un misterioso malore a bordo dell’areo che avrebbe dovuto riportarlo da Toms, in Siberia, a Mosca. Navalny si sente male e perde i sensi, costringendo l’equipaggio del volo Sibir 2614 ad effettuare un atterraggio di emergenza per far ricoverare l’uomo. Nel frattempo, in Libia, le motovedette di Haftar sequestrano due pescherecci italiani, i cui membri, i tristemente noti18 pescatori, saranno liberati soltanto lo scorso 17 dicembre, dopo 108 giorni di prigionia. Quando le speranze erano ormai ridotte al lumicino, ecco la svolta inaspettata: Giuseppe Conte e Luigi Di Maio lasciano Roma, volano a Bengasi e prendono in consegna i marinai.
Il mistero Navalny
A settembre Alexei Navalny si trovava in Siberia, dove aveva appena terminato un tour per supportare i candidati indipendenti in gara per le elezioni locali che si sarebbero tenute di lì a un mese. In aeroporto, prima di imbarcarsi sul volo che avrebbe dovuto riportarlo a Mosca, l’uomo non consuma alcun pasto. I testimoni sostengono che avesse ordinato e bevuto soltanto una tazza di tè. La versione è stata confermata anche dalla portavoce ufficiale dell’attivista, Kira Yarmish. Una volta a bordo dell’areo, Navalny accusa un malore. Le sue condizioni sono gravi e deve essere ricoverato d’urgenza in terapia intensiva.
I suoi familiari chiedono il trasferimento in Germania per ricevere cure migliori. Viene così trasferito presso l’ospedale Charité di Berlino. Dopo settimane complicate, le sue condizioni migliorano e viene fatto uscire dal coma indotto a cui era stato sottoposto. Ma che cosa è successo a Navalny? Nasce subito il sospetto dell’avvelenamento. “Sospettiamo che Alexei sia stato avvelenato con qualcosa mescolato nel suo tè. È l’unica cosa che ha bevuto questa mattina. […] I dottori hanno detto che la tossina è stata assorbita più velocemente perché la bevanda era calda”, ha scritto la portavoce Yarmish su Twitter. Il governo tedesco ha quindi reso noto che l’attivista è stato avvelenato con un agente chimico denominato Novichok, uno dei gas nervini più letali. Mosca negherà fin da subito di essere coinvolta nell’episodio. I riflettori restano tuttavia puntati sul Cremlino.
La liberazione dei pescatori italiani
All’inizio di settembre due mezzi italiani della marineria di Mazara del Vallo vengono sequestrati dalle autorità di Bengasi. Secondo i libici, quattro pescherecci italiani stavano pescando in uno spicchio d’acqua off limits (un’area che il governo locale rivendica come propria). In passato, già diverse imbarcazioni italiane sono state trattenute dalle autorità di Tripoli. Il nodo spinoso è dato dal fatto che i due governi libici rivendicano un’estensione delle acque di propria competenza più ampia rispetto a quella riconosciuta in campo internazionale.
In ogni caso, due delle quattro imbarcazioni riescono a fuggire. Le altre due, l’Antartide e il Medinea, cadono in trappola. Finiscono nelle mani dei libici 18 marinai: i due comandanti dei mezzi poi fuggiti e i componenti delle due navi sequestrate. I pescherecci coinvolti avrebbero prima avvertito degli spari e successivamente sarebbero stati raggiunti da motovedette libiche. Il triste episodio si consuma poche ore dopo la visita di Luigi Di Maio a Tripoli, dove il ministro degli Esteri aveva incontrato le autorità ufficialmente riconosciute guidate dal premier Fayez Al Sarraj. Non sappiamo ancora quali sono i motivi della svolta. Fatto sta che, dopo 108 giorni di prigionia, i 18 pescatori tornano a casa in tempo per festeggiare il Natale con le rispettive famiglie.