Inizia oggi il tour di tre giorni del ministro degli esteri russo Sergey Lavrov in America latina. Sono tre le tappe del suo viaggio, mirante a consolidare la presenza di Mosca nel subcontinente: Cuba, Venezuela e Messico. Essendo che l’interesse per i primi due paesi non rappresenta una novità, trattandosi degli ultimi bastioni dell’antiamericanismo sopravvissuti ai tentativi di colpi di stato e cambi di regime, insieme al Nicaragua, è la visita a Città del Messico a suscitare sorpresa.

Il contrasto ai piani egemonici dell’amministrazione Trump per il cortile di casa degli Stati Uniti per antonomasia potrebbe partire proprio dal Messico.

Il ritorno in scena dell’ideologia

Nello stesso periodo in cui il segretario di Stato americano Mike Pompeo si reca nell’Asia centrale, in Ucraina e in Bielorussia per lanciare una sfida di alto livello a Mosca, il Cremlino si muove nell’America centro-meridionale per perseguire lo stesso obiettivo: disturbare l’egemone nella propria sfera di influenza.

La natura anti-imperialista e sostanzialmente antiamericana dei regimi che governano Cuba e Venezuela è nota ed è anche molto marcata, essendo il loro principale elemento caratterizzante e distintivo, ma quella dell’attuale governo messicano lo è molto meno. Le ultime elezioni presidenziali hanno sancito la vittoria di Andres Manuel Lopez Obrador, la cui visione del mondo combina nazionalismo latinoamericano, solidarismo e cardenismo.

Obrador ha promesso all’elettorato maggiore interventismo statale nell’economia e nel mercato, anche attraverso importanti nazionalizzazioni, e annunciato che avrebbe lavorato per costruire relazioni con il vicino statunitense basate sul mutuo rispetto in luogo della storica subordinazione.

Sono proprio le ambizioni autonomiste di Obrador ad aver attratto l’interesse della Russia, che vede in lui un possibile appoggio per il radicamento del patriottismo latino fra gli abitanti dell’America centro-meridionale, pur se scevro di connotati palesemente antiamericani come nel caso del chavismo o del castrismo.

A Città del Messico, Lavrov incontrerà la sua controparte, Marcelo Ebrard, per discutere di cooperazione bilaterale e multilaterale, ossia fra Mosca e la Comunità dell’America Latina e degli Stati Caraibici (CELAC) ed il cosiddetto Gruppo di Puebla. Quest’ultimo è un foro di discussione, fondato nel 2018 da uomini vicini all’attuale presidente messicano con l’obiettivo di creare un’alternativa alla crescente “egemonia ideologica della destra nella regione” tramite iniziative politiche, accademiche e culturali.

Mosca è favorevole al potenziamento e all’espansione del gruppo di Puebla, il cui eventuale successo potrebbe frenare l’avanzata delle nuove destre in tutto il subcontinente. Tali destre, a livello di politica estera sono completamente appiattite sulle posizioni di Washington, come mostrato ad esempio dall’assalto diplomatico ad Hezbollah, dal filo-sionismo e dallo schieramento contro la Bolivia di Evo Morales e contro quel che l’ex consigliere della sicurezza nazionale John Bolton aveva ribattezzato il “triangolo del male“, la “troika della tirannia” dell’America latina, ossia l’asse L’Havana-Managua-Caracas. Del foro fanno parte i principali protagonisti della nuova sinistra degli anni 2000, fra i quali gli ex presidenti del Brasile Dilma Roussef e Lula, l’ex presidente ecuadoriano Rafael Correa e Morales. Il piano russo e di Obrador, però, è destinato a fallire in partenza se non verrà tenuto in considerazione il motivo essenziale per cui è stato possibile che il subcontinente si convertisse da terra di rivoluzioni ed anti-imperialismo a bastione del più sincero ed agguerrito americanismo: la strategia geo-religiosa di Washington che dagli anni ’70 ha rapidamente de-cattolicizzato il vicinato latinoamericano.

Le nuove destre, infatti, vincono anche e soprattutto perché forti del sostegno del crescente elettorato neopentecostale ed evangelico. La situazione potrà essere ribaltata soltanto prendendo atto del profondo mutamento socio-culturale occorso nelle ultime decadi, elaborando delle adeguate contro-strategie.

Cuba e Venezuela

La crisi politica ed economica in Venezuela è ancora in corso, sebbene se ne parli di meno, ed il supporto di Mosca all’erede di Hugo Chavez non è venuto meno. I due paesi hanno approfondito la collaborazione economica ed energetica negli ultimi mesi e la visita di Lavrov a Caracas sarà l’occasione per riconfermare la vicinanza del Cremlino a Nicolas Maduro.

Il paese sudamericano è stretto nella morsa di un regime sanzionatorio sempre più aspro, che inibisce ogni tentativo di risollevamento dell’economia e dei settori strategici – principalmente quello del petrolio – e la Russia sta approntando delle strategie con le quali aiutare l’alleato ad aggirare l’isolamento coercitivo e far tornare la sua economia a respirare.

L’agenda di Lavrov a Caracas prevede incontri con le figure-chiave delle istituzioni: Maduro, il vice-presidente Delcy Rodriguez e l’omologo agli esteri Jorge Arreaza. Molte saranno le tematiche affrontate: energia, agricoltura, difesa, trasporti, ed anche settore minerario.

Il Venezuela sarà l’ultimo paese ad essere visitato dal ministro degli esteri russo, anticipato da un breve soggiorno a L’Avana. Nell’isola caraibica, Lavrov porterà un dossier sostanzialmente simile a quello che lo guiderà a Caracas: programmi di collaborazione bilaterale nel commercio, nell’energia e nei trasporti per fronteggiare le pressioni economiche statunitensi.

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