Donald Trump ha attaccato l’Iran in maniera aggressiva e diretta davanti all’Assemblea Generale Onu. Il tycoon ha rilanciato contro la Repubblica Islamica accuse già note come “sponsor del terrorismo”, “Stato canaglia” e “non rispettoso dei termini dell’accordo sul nucleare”. Lo stesso accordo è stato definito da Trump come “vergognoso” per gli Stati Uniti. La posizione americana è dura, categorica.

Un attacco non più credibile

È la posizione di un leader che vuol far rispettare la sua legge, anche con la forza. Questo atteggiamento, tuttavia, rischia in maniera concreta di produrre per gli Stati Uniti un effetto opposto a quello desiderato. Perché un conto era sentire queste parole con l’immagine delle Torri Gemelle sbriciolate e la convinzione che certi regimi mediorientali potessero essere agevolmente convertiti in democrazie. Un conto è ascoltare lo stesso “disco rotto” dopo sedici anni di guerra in Afghanistan senza risultati. Dopo aver scoperto che Saddam Hussein non possedeva alcuna arma di distruzione di massa. Dopo che il trapianto di democrazia è fallito in ogni contesto. Una disillusione collettiva che svuota di senso le parole di Trump.

L’Iran appare più moderato e pronto al dialogo

Sullo stesso New York Times è stato sottolineato questo effetto. “L’attacco aggressivo del presidente Trump contro l’Iran sull’accordo nucleare ha prodotto un effetto inaspettato: la simpatia per il governo iraniano”, così esordisce il quotidiano di New York. Già solo la differenza nei toni utilizzati tra i due leader, Trump e Rouhani, fa ben capire da che parte stanno le intenzioni belligeranti. Da una parte Rouhani ha infatti parlato con pacatezza e moderazione, limitandosi a difendere l’Iran su ogni punto. Sia come attore che lotta contro il terrorismo (e non lo finanzia), sia in quanto rispettoso di tutti i termini dell’accordo sul nucleare. Come per altro confermato dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Il tycoon ha invece cercato lo scontro frontale. L’immagine dell’Iran verso il mondo è così cambiata e oggi appare più benevola e moderata rispetto al discorso tenuto dall’ex Presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad.

Il ripristino delle sanzioni può isolare gli Stati Uniti

Oltre ad una questione di semplice immagine, gli Stati Uniti possono perdere anche sotto il profilo politico. Riportava la CNBC che ora gli Stati Uniti hanno poche possibilità rispetto al futuro dell’accordo con l’Iran. Il prossimo 15 ottobre The Donald si troverà infatti a certificare di fronte al Congresso U.S. il rispetto dei termini dell’accordo da parte dell’Iran. Qualora il tycoon non certificasse questo, evento molto probabile, il Congresso avrà 60 giorni per stabilire se e in che misura riapplicare le sanzioni economiche contro l’Iran (quelle che erano state sospese proprio grazie all’entrata in vigore dell’accordo). Se il Congresso dovesse approvare il pacchetto di sanzioni gli Stati Uniti si troverebbero così a recedere automaticamente dai termini dell’accordo.

Anche l’economia americana sarebbe colpita dalle sanzioni all’Iran

Una situazione che potrebbe creare un forte scossone sia sul piano politico che economicoIl ripristino delle sanzioni senza giusta causa da parte americana allontanerebbe gli States da tutti i suoi alleati europei, schierati da sempre a favore dell’accordo con l’Iran. Anche da un punto di vista economico gli Stati Uniti non avrebbero di che sorridere. Le rinnovate sanzioni sul settore energetico iraniano avrebbero l’effetto di ridurre l’offerta di petrolio nel Paese, con la conseguenza di alzare il prezzo del greggio. Un beneficio per chi vende il petrolio iraniano, ma una maledizione per chi lo compra. E sappiamo che gli Stati Uniti sono il primo Paese al mondo per importazione e consumo di petrolio.

Ci sono poi molte aziende americane che vedrebbero così chiuso il loro business. Un esempio su tutte è la Boeing che proprio starebbe per concludere un accordo di 3 miliardi di dollari per la vendita di aeroplani all’Iran. Se la sospensione dell’accordo porta effetti negativi a Washington, d’altra parte non è nemmeno pensabile una sua rinegoziazione. Tale possibilità è stata già infatti esclusa dalla parte iraniana. La strada dell’ “America first” sta portando Washington dritta verso il suo peggiore incubo. L’isolamento in un mondo multipolare.