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Dopo i vari sforzi di condanna di comportamenti illegittimi e illeciti, la decisione della IAAF, la Federazione internazionale dell’Atletica leggera ha emesso il suo verdetto finale, confermando la squalifica ai danni della Federazione Russa di atletica  dai prossimi Giochi Olimpici estivi di Rio de Janeiro. Non è stata, tuttavia, una sentenza inattesa, in seguito allo scandalo emerso nel novembre del 2015 con il quale la WADA  (l’associazione mondiale anti-doping) ha accusato la Federazione Russa di Atletica Leggera e l’omologa agenzia nazionale RUSADA di aver istituito un sistema che insabbiasse l’utilizzo di sostanze proibite da parte degli atleti russi, sostenendo una collusione anche con i vertici politici e sportivi del Paese.Il Doping di Stato era una pratica diffusa nel periodo della Guerra Fredda, in quanto la necessità di supremazia in tutte le sfere della vita pubblica si esplicava anche nel settore dello sport, anche e soprattutto in ossequio a quello che successivamente Robert Nye definì soft power.All’epoca, inoltre, molte sostanze non erano vietate, specie tutti quei prodotti appartenenti alla categoria degli anabolizzanti e degli steroidi, di cui molti atleti da entrambi i lati del Muro facevano largo utilizzo. Oggi la questione sportiva prende connotazioni diverse, alla luce dello scenario politico internazionale attuale: se americani e russi si sono vicendevolmente boicottati i Giochi Olimpici nel 1980 e nel 1984 per ragioni legate all’equilibrio di potenza, oggi andare a minare il soft power sportivo dell’avversario sembra pratica più efficace, visti i favolosi quattrini che muovono gli sponsor di questi eventi. Dunque già a proposito di questa ultima squalifica la risposta russa si è concentrata sul respingere quello che viene definito “un attacco politico”, sebbene il Ministro dello Sport Vitaly Mutko  abbia rilanciato alle parole del Presidente Putin sulla lotta al doping, affermando che “il doping è un retaggio di epoca sovietica di cui ci si deve disfare”. La problematica, però, va al di là della sola atletica leggera, che comunque consiste, con un calcolo grossolano che quantifica però l’entità del danno, a quasi venti medaglie olimpiche basandosi sui risultati degli ultimi Giochi di Londra 2012: Il Comitato Olimpico Internazionale, infatti, starebbe pensando di estendere la squalifica all’intera “industria” dello sport russo, andando a colpire, in un regime di simil-terrore, anche gli atleti non dopati e quelli che praticano tutte le altre discipline olimpiche. L’agenzia di stampa TASS riferiva tuttavia che gli atleti che avessero comprovato concretamente la loro estraneità alle istituzioni coinvolte, avrebbero potuto richiedere di partecipare alle competizioni internazionali, nell’ignavico vessillo dei senza bandiera.Pare però che lo sport russo sia sotto il fuoco incrociato della politica per davvero, se si va anche a sommare la situazione degli scontri tra hooligans inglesi e russi a Marsiglia prima della partita che sarebbe andata in scena in serata. Il presidente dell’Unione Russa dei Tifosi (VOB) Aleksandr Shprygin – ultras della Dynamo Mosca, vicino agli ambienti della destra estrema della capitale – è stato dichiarato un vicinissimo del presidente Vladimir Putin, sebbene non è detto che i due si conoscano neanche di persona, cercando di instillare un’opinione diffusa di un supporto istituzionale all’istigazione alla violenza e alla creazione di un modello di stampo ultra-nazionalista che trova terreno fertile nei gangli del potere. Shprygin ha sì dei contatti con la Federazione calcistica nazionale, ma in quanto referente del tifo organizzato. Venti tifosi, cittadini russi, sono stati estradati in patria per gli scontri di cui si è parlato, con la minaccia rivolta dall’UEFA alla sola Russia di squalifica della nazionale per il resto della competizione, come se i tifosi si fossero scontrati da soli. Il provvedimento sarebbe da ritenersi giusto, se fosse equamente attribuito a ciascuna parte in causa e non solo ad una. Il calcio, tra l’altro, è stato ripetutamente martoriato dalle istituzioni internazionali, con il pesante rilancio degli Usa, che si sono spesi affinché fosse revocato al Paese il mandato per l’organizzazione dei Mondiali FIFA 2018, per una presunta corruzione dei commissari che hanno preso parte alla votazione che ne ha deciso l’assegnazione, con lo stesso Blatter in prima linea – trascurando, di fatto, le barbarie denunciate da Amnesty International  riguardo alle condizioni di impiego degli operai che lavorano alla realizzazione dei faraonici impianti dei Mondiali del 2022 in Qatar -.Un ultimo caso che ha visto coinvolto gli atleti russi riguarda la squalifica di due anni per Mariya Sharapova, trovata positiva al Meldonium durante il match dei quarti di finale degli Australian Open. La sostanza in questione è stata inserita nella lista delle sostanze dopanti a partire dal primo gennaio 2016, facendo evidentemente ricadere la tennista russa, che lo assumeva da circa 10 anni per ragioni attribuibili alla salute.Il mezzo dissuasivo della diplomazia sportiva, dunque, esterna le sue ragioni in maniera partigianamente politica, piuttosto che in ossequio ai principi della sana competizione egualitaria su cui si basa lo spirito sportivo. Oggi la vittima sacrificale è la Russia di Putin, che paga un pesante dazio in relazione alle strategie geopolitiche messe in atto negli ultimi tre anni. Un vero e proprio terremoto che, qualora dovesse effettivamente produrre i suoi effetti, potrebbe scatenare i medesimi meccanismi osservati 30 anni fa, nonostante i ribaditi scongiuri sull’imminenza di una Guerra Fredda 2.0.

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