La commissione della Camera che indaga sull’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 ha votato per citare in giudizio l’ex presidente Donald J. Trump con l’accusa di aver agito per rovesciare il risultato delle elezioni del 2020. In quella che potrebbe essere stata l’udienza pubblica finale, a poche settimane dalle elezioni di metà mandato, la giuria ha riunito prove e testimonianze delle sue nove precedenti audizioni, sottolineando, a suo dire, il ruolo centrale di Trump nel tentativo di mantenere il potere, nonostante la sconfitta.

Secondo il comitato, il magnate ha cercato di unirsi alla folla che aveva convocato a Washington, DC, il 6 gennaio 2021, mentre quest’ultima marciava verso Capitol Hill, pur sapendo che alcuni dei suoi sostenitori erano armati, nel momento in cui il Congresso si stava riunendo per certificare la vittoria di Joe Biden. A riportarlo è il New York Times.

L’accusa al magnate: il Secret Serve sapeva

“Nulla di tutto ciò è normale, accettabile o lecito nella nostra repubblica”, ha affermato la rappresentante Liz Cheney, repubblicana del Wyoming e vicepresidente del comitato, nonché acerrima nemica di Trump nel Gop. Dopo quasi due ore e mezza, la commissione ha concluso formalizzando la richiesta indirizzata al tycoon di presentarsi per una deposizione formale, pur sapendo che questo difficilmente accadrà, dato che Trump si è rifiutato dal primo minuto di collaborare con i lavori della commissione.

“È l’unica persona al centro di ciò che è accaduto il 6 gennaio”, ha affermato Bennie Thompson, democratico del Mississippi e presidente del comitato. “Deve essere responsabile”, ha aggiunto Thompson. “Egli è tenuto a rispondere delle sue azioni”. E dall’udienza finale di ieri, è emersa un’altra indiscrezione importante su ciò che è accaduto quel giorno: il Secret Service, secondo quanto riportato dal Washington Post, era stato allertato prima di quanto finora si sapesse sulla concreta possibilità di un assalto armato dei sostenitori di Donald Trump a Capitol Hill.

Il filmato che imbarazza Nancy Pelosi: “Lo prendo a pugni”

C’è un filmato che riguarda il 6 gennaio 2021 ma che, in questo caso, non ha come protagonista Donald Trump: si tratta del video, citato da Fox News, che ritrae la presidente della Camera Nancy Pelosi minacciare di colpire fisicamente l’allora il magnate se quest’ultimo si fosse unito a coloro che protestavano fuori dal Campidoglio. Nel video Pelosi ammette che tali azioni avrebbero potuto portarla in prigione, una conseguenza che ha detto che sarebbe “felice” di accettare. “Spero che venga, lo prenderò a pugni”, dice Pelosi al suo capo staff Terri McCullough.

Respinto il ricorso su Mar-a-Lago

La citazione in giudizio da parte del comitato sul 6 gennaio non è l’unica cattiva notizia per l’ex presidente. La Corte suprema, nelle stesse ore, ha respinto l’istanza di Trump di avere accesso ai documenti riservati che l’Fbi ha sequestrato nella sua residenza di Mar-a-Lago. Il dipartimento di Giustizia, riferisce Politico, aveva esortato l’Alta Corte a respingere la richiesta di Trump, affermando che non aveva soddisfatto gli standard legali necessari per una richiesta di questo tipo. Non è la prima volta che la Corte dice “no” a una richiesta del tycoon: sebbene Trump sia riuscito a nominare un terzo degli attuali membri della Corte Suprema, i giudici hanno respinto diversi tentativi dell’ex presidente di riesaminare i risultati delle elezioni presidenziali del novembre 2020.

Secondo molti commentatori conservatori, il blitz dell’FBI contro Trump è in netto contrasto con il modo in cui l’Ufficio e il dipartimento di Giustizia hanno agito sette anni fa, quando emerse una situazione simile circa le e-mail del Segretario di Stato Hillary ClintonCome nota il giornalista John Solomon, allora, nell’estate del 2015, non c’è stato nessun raid nella casa della signora Clinton a Chappaqua, New York, dove il server è stato utilizzato. L’avvocato dell’ex segretario di stato, David Kendall, fu infatti autorizzato a tenere una chiavetta USB dell’archivio della sua casella di posta – ricca di materiale riservato – all’interno del suo ufficio. Il conduttore radiofonico e televisivo conservatore Mark Levin, ex capo del personale del procuratore generale di Reagan Ed Meese, ha definito il raid contro Trump in Florida “un atto senza precedenti di illegalità sponsorizzato dallo Stato”

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