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Lo spazio sarà l’ultima frontiera delle grandi potenze, ma l’Artico sarà la prossima. Perché le ricchezze contenute nel sottosuolo del polo nord, impenetrabile all’Uomo da tempo immemorabile, stanno venendo progressivamente alla luce con lo scioglimento dei ghiacciai continentali provocato dal cambiamento climatico e le acque, un tempo inattraversabili, vanno prestandosi in maniera crescente alla navigazione.

Un Artico accessibile significa un Artico aperto al traffico navale, agli insediamenti umani permanenti e allo sfruttamento del suolo e del sottosuolo. Un Artico accessibile significa traslazione in realtà della Rotta del mare del Nord (Се́верный морско́й путь), in Occidente nota come il “passaggio a nord-est”, quindi ribaricentramento del commercio mondiale dall’Indo-Pacifico all’Artide di lingua russa e, a latere, spostamento del mackinderiano cuore della Terra (Heartland) dall’area siberiano-turkestana al polo nord.

Le implicazioni dei suddetti avvenimenti, che il recente incidente di Suez potrebbe aver catalizzato, sarebbero epocali: la Russia, forte del controllo monopolistico del passaggio a nord-est e della messa in redditività di due terzi del proprio territorio – Artico, Siberia ed Estremo Oriente –, avrebbe tutte le carte in regola per assurgere al ruolo di iperpotenza in due aree critiche per il dominio di un pianeta crescentemente surriscaldato e afflitto da problematiche idriche e alimentari, quali la disponibilità di acqua dolce e di superficie agricola utilizzabile.

Scrivere e parlare di Artico e Siberia è fondamentale, perché trattasi di due delle ragioni principali alla base dello stabilimento dell’intesa cordiale del 21esimo secolo, ovvero l’alleanza tra Russia e Cina.

Pechino e l’Artico

L’asse russo-cinese è vivo, vegeto e attivo in molteplici campi d’azione. La relazione tra Cina e Russia si è ulteriormente consolidata in seguito all’elezione di Joe Biden, e non poteva essere altrimenti visto il nuovo corso della politica estera americana. Washington è tornata ad attaccare a testa bassa Mosca dopo il periodo di sostanziale appeasement trascorso durante la presidenza Trump. Pechino, invece, era ed è rimasta il rivale strategico numero uno del Paese, in ambito economico ma anche geopolitico e militare. Considerando che con Biden l’influenza (e la presenza) statunitense negli affari internazionali è tornata ad assumere una certa consistenza, e che l’obiettivo di danneggiare le ambizioni del Cremlino e del Partito Comunista Cinese è in cima all’agenda della Casa Bianca, era logico aspettarsi una più marcata convergenza tra Vladimir Putin e Xi Jinping.

Attenzione però, perché nonostante le numerose e proficue collaborazioni in cantiere non sempre è tutto oro ciò che luccica. Ci sono almeno un paio di questioni che potrebbero esacerbare la competizione fra il Dragone cinese e l’Orso russo: la corsa verso l’Artico e il ruolo della Siberia. Se questo è il contesto generale, urge una breve premessa. Da una parte abbiamo uno Stato, la Russia, che può vantare un territorio immenso – il più grande del mondo, esteso oltre i 17 milioni di chilometri quadrati – una popolazione di “appena” 144 milioni di unità e nessuna carenza di risorse energetiche, visto che tutto (o quasi) si trova nel cortile di casa del Cremlino. Dall’altra parte ecco la Cina, con i suoi 1.4 miliardi di abitanti, una fame atavica di energia, gas e benzina – nonostante l’imminente svolta green – e l’esigenza di collaborare con il resto del mondo per stabilire nuovi equilibri, decisamente più consoni per le considerevoli dimensioni raggiunte dal gigante asiatico. Per far ciò, la Cina ha messo nel mirino Artico e Siberia, ovviamente collaborando con la Russia e spingendo sulla classica relazione win win. Ma le condizioni cinesi coincidono con le esigenze russe? È questo il punto principale che, a detta di alcuni analisti, potrebbe creare discrepanze lungo l’asse Mosca-Pechino.

La Via polare della Seta

Per capire l’interesse cinese verso l’Artico bisogna, per forza di cose, aver chiaro il concetto di Belt and Road Initiative. La Nuova Via della Seta cinese, il mastodontico progetto economico-infrastrutturale voluto da Xi per creare un collegamento tra Cina, sempre più una potenza globale, Asia centrale, Europa e Africa, comprende più corridoi e ramificazioni. Accanto alla Via della Seta terrestre e a quella marittima, così chiamate perché una taglia in due l’Asia “via terra” mentre l’altra si collega al Mediterraneo “via mare” facendo spola tra porti asiatici e africani, spicca la cosiddetta Via polare della Seta.

Dal momento che i ghiacciai si sciolgono e i mari del Nord sono sempre più liberi (e quindi navigabili), la Cina ha pensato bene di sfruttare questo cambiamento naturale passando attraverso le acque artiche e creando una nuova rotta. Immaginando di avere una mappa di fronte a sé, il percorso polare partirebbe da Shanghai, costeggerebbe l’estremità orientale russa, e risalirebbe per lo Stretto di Bering. A quel punto le navi cinesi potrebbero proseguire verso la Groenlandia, oppure continuare a costeggiare la Russia, infilarsi nel Mar Baltico – dove in futuro avrebbero la possibilità di sfruttare il tunnel Tallinn-Helsinki, tra l’altro finanziato quasi in tutto da aziende cinesi – e approdare a Rotterdam; salvo ripartire da qui e tornare in Cina passando per il Mediterraneo e il Canale di Suez. La convenienza sarebbe evidente, visto che il tradizionale tragitto Shanghai-Rotterdam via canale di Suez richiede una cinquantina di giorni, mentre grazie al supporto della via polare ne basterebbero una trentina.

L’Artico è, però, un’area strategica anche per un’altra motivazione. Da quelle parti c’è un sottosuolo a dir poco generoso, ricco di petrolio, oro, zinco, uranio e tanto altro ancora. Insomma, la Cina ha le idee chiare. Ma Mosca accetterà di fungere da spalla al Dragone, visto e considerando che gli interessi di Pechino sono dislocati in una sfera d’influenza russa, o vorrà avere la prima parola?

Pechino e la Siberia

Tornando sulla terraferma, l’altra area caldissima si chiama Siberia. La sensazione è che il Power of Siberia Gas Pipeline, da solo, non basti a sciogliere tutti i nodi. È vero che stiamo parlando di un gasdotto di 3mila chilometri, nonché un progetto da 55 miliardi di dollari, creato ad hoc per rifornire la Cina di gas russo in cambio di centinaia di miliardi di dollari cinesi. Ma è altrettanto vero che la Siberia, complice il riscaldamento climatico, sta cambiando “forma”. Quei territori che un tempo avevano la fama di essere selvaggi e inospitali, potrebbero presto diventare molto appetibili.

Nel giro di qualche anno, foreste e praterie siberiane sarebbero pronte ad accogliere appezzamenti di grano, mais e soia. Ed è per questo che la Cina ha intenzione di espandersi in Siberia. Non a caso c’è chi parla di “espansionismo pacifico” da parte di Pechino, nel senso che il Dragone starebbe cercando in tutti i modi di mettere radici nella periferia russa sfruttando due carte: il profilo demografico ed economico. Anche in questo caso resta da capire come e se la Russia avrà intenzione di fungere da semplice spalla cinese.

L’Artico e la Siberia nella visione di Mosca

La ritirata dei ghiacciai continentali dell’Artide sta rendendo possibile, poco a poco, la traslazione in realtà di due dei sogni più antichi dei sovrani della Terza Roma: la trasformazione della Russia nel punto di connessione tra l’Atlantico e il Pacifico e il possesso di un mare caldo. Quello della rotta del mare del nord è un anelito di cui si trova riscontro documentale già nel remotissimo 1525, poiché teorizzato dal visionario diplomatico Dmitriy Gerasimov, e che fra il 1725 e il 1730 avrebbe impegnato lo zar Pietro il Grande in una serie di spedizioni tese a mappare il polo nord e scoprire eventuali punti scoperti dai ghiacci, sfruttabili per consentire il transito di navi commerciali.

Gerasimov e Pietro il Grande non potevano sapere, e neanche immaginare, che, secoli dopo, il clima planetario avrebbe iniziato a sorridere alla Russia, convertendola gradualmente da una distesa inospitale e inadatta all’agricoltura ad una prateria florida e temperata. Perché è esattamente questo che sta accadendo al di sopra e a levante degli Urali: i terreni vanno divenendo arabili – come dimostrano gli eccellenti numeri sulle esportazioni di prodotti agricoli –, i fiumi navigabili, le città vivibili e i ghiacci attraversabili – come indica l’aumento del traffico marittimo lungo la rotta del mare del nord.

La collaborazione con la Cina, in questo contesto di crescente sfruttabilità del triangolo Artide-Siberia-Estremo Oriente, è motivata e dettata da ragioni di necessità: è tattica, non strategica. Tattica perché le aree suddette, per essere pienamente vitalizzate, e i profitti, per essere massimizzati, abbisognano di iniezioni di liquidità che, in questo preciso momento storico, soltanto Pechino è disposta a concedere nelle quantità e nei modi desiderati da Mosca – come mostrano i maxi-investimenti cinesi in loco. Non strategica perché quel triangolo, il nuovo cuore della Terra, va sigillato e reso impermeabile ad ogni infiltrazione esterna, Cina inclusa; da qui la militarizzazione della futura rotta del mare del nord, l’aumento del controspionaggio in materia di segreti artici e il monitoraggio delle mosse cinesi tra Siberia ed Estremo Oriente, specie negli ambiti del disboscamento, dello sfruttamento idrico e dell’acquisto di terreni.

Grazie all’aiuto della Cina, già collegata ai giacimenti di metano siberiani dal Power of Siberia Gas Pipeline, la Russia avrebbe la maniera di accelerare l’estrazione e la commercializzazione delle ricchezze energetiche custodite gelosamente dall’Artide, come i 90 miliardi di barili di petrolio e i 47mila miliardi di metri cubi di gas naturale, nonché di concretare effettivamente i progetti mastodontici concepiti per aumentare l’attrattività di Siberia ed Estremo Oriente, come Vostok, un maxi-cantiere a cielo aperto da 111 miliardi di dollari statunitensi che riscriverà il volto dell’intera penisola del Tajmyr, impegnando 400mila operai nella costruzione di due aeroporti, quindici città industriali, un porto, un oleodotto di 770 chilometri e altri progetti urbani ed infrastrutturali.

In sintesi, è nel nuovo cuore della Terra, il triangolo Artico-Siberia-Estremo Oriente, che si giocherà una parte significativa della guerra fredda 2.0, nonché della competizione tra grandi potenze – dati gli interessi dell’India e di altri attori nella partecipazione allo sfruttamento dell’Artide. Ed è sempre qui, fra ghiacci che vanno sciogliendosi, climi inospitali che vanno divenendo temperati e lande desolate, che sarà scritto uno dei capitoli più importanti dell’intesa cordiale. Perché l’alternativa allo stabilimento di un modus convivendi nella nuova El Dorado, che, curiosamente ma non sorprendentemente, è tornata ad essere minacciata dallo spettro del separatismo, è il collasso dell’intesa cordiale, quindi dei sogni multipolari ed artici di Mosca e Pechino.

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