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Ieri, gli Stati Uniti d’America si sono dimostrati fragili. Divisi. Le immagini dei sostenitori di Donald Trump all’interno del Campidoglio hanno ricordato a molti quanto successo in Medio Oriente con le Primavere arabe, oppure in Ucraina durante l’Euromaidan (vedi Piccolenote).

La più grande potenza al mondo si trova oggi in bilico e i suoi storici avversari gongolano nel vedere l’incertezza americana. Il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, ha infatti scritto su Twitter: “Un presidente canaglia che ha cercato la vendetta contro il suo PROPRIO popolo ha fatto molto peggio al nostro popolo – e ad altri – negli ultimi quattro anni. Ciò che è inquietante è che lo stesso uomo ha l’autorità INCONTROLLATA per iniziare una guerra nucleare; una preoccupazione di sicurezza per l’intera comunità internazionale”. Il riferimento è ovviamente agli scontri di ieri, ma anche al raid che ha portato alla morte del generale Qassem Soleimani, proprio un anno fa, e all’inasprimento delle sanzioni nei confronti di Teheran.

L’assalto al Campidoglio di ieri ha dunque aperto un vulnus negli Stati Uniti d’America. E questo nonostante Trump abbia cercato di fare il pompiere, promettendo, “anche se sono totalmente in disaccordo con i risultati delle elezioni, e i fatti mi danno ragione, una transizione ordinata il 20 gennaio”. Non ci sarà dunque – a meno di clamorosi colpi di scena – alcun golpe. Anzi: molto probabilmente, questo non è mai stato l’obiettivo di Trump, che ha spesso giocato col fuoco sui social network e che, di conseguenza, non può non esser considerato complice dell’assalto al Campidoglio.

A cosa ci troviamo di fronte, dunque? A una rivolta? A una sedizione? Oppure a un colpo di Stato? IlPost ha cercato di fare chiarezza, ripercorrendo alcuni dei più importanti media americani delle ultime ore. Il primo a porsi questo quesito su cosa stesse realmente accadendo negli Stati Uniti è stato John Daniszewski, il quale ha spiegato su Associated Press perché, per riferirsi ai fatti di ieri, sarebbe meglio utilizzare le parole “rivolta” e “insurrezione”, piuttosto che “colpo di Stato”: “Finora Ap non ha visto prove conclusive che lo scopo specifico dei manifestanti fosse quello di assumere il governo, quindi in questa fase stiamo evitando il termine (colpo di Stato, Ndr)”.

Anche perché, per fare un golpe, è fondamentale il supporto delle forze armate, come spiega Naunihal Singh, docente al Naval War College: “Implicherebbe che il presidente usi l’esercito o i servizi segreti o qualche ramo armato del governo per ottenere ciò che vuole. Né direi che è quello che alcune persone hanno chiamato un colpo di stato civile”, ha affermato il professore. Ma non solo. Le armi in possesso ai sostenitori di Trump non possono minimamente far pensare a un golpe. Secondo quanto scrive l’HuffingtonPost, infatti, a Washington sarebbero state trovate “solamente” “una bomba artigianale dal Comitato nazionale democratico e un’altra bomba dal Comitato nazionale repubblicano. Sul terreno del Campidoglio degli Stati Uniti sono stati recuperati anche un refrigeratore di un veicolo insieme a una lunga pistola che includeva anche molotov”.

Queste spiegazioni sono state necessarie dopo che Eugene Robinson, columnist del Washington Post, aveva scritto: “Lasciatemi essere chiaro: quello che è accaduto mercoledì pomeriggio al Campidoglio è stato un tentato colpo di Stato, incitato da un presidente che agisce al di fuori della legge e che cerca disperatamente di restare aggrappato al potere, e incitato dai suoi cinici sostenitori repubblicani al Congresso”. Secondo Robinson, il golpe sarebbe da ricercare nel fatto che, così facendo, i rivoltosi, hanno proibito “l’atto centrale della nostra democrazia, cioè il trasferimento pacifico e ordinato del potere”.

Il termine più corretto per parlare dei fatti dell’altra notte è però “sedizione”, come suggerisce Singh, ovvero “sollevamento contro l’ordine costituito” (Treccani). E forse non poteva essere altrimenti. Se Trump ha avuto un merito, quello è stato quello di parlare all’America profonda, agli sconfitti della globalizzazione, ai reietti dimenticati dalla “politicanti”. Tra questi ci sono ovviamente anche elementi borderline e pericolosi, come Q-Anon e i Proud Boys, che non sono affatto da sottovalutare e che tanta parte stanno avendo all’interno della politica Usa. È stata questa sua capacità di parlare all’americano medio che ha permesso a Trump, pur perdendo, di aumentare il proprio consenso. Il tycoon è riuscito a far breccia nel cuore di tanti americani. Ha tracciato un solco. È entrato nella storia a stelle e strisce. Nel bene (si pensi alla politica estera non interventista e al rilancio dell’economia, frutto anche degli otto anni di Barack Obama) e nel male (l’uso spregiudicato del potere e la sensazione di sentirsi absolutus, sciolto da ogni legge, solo per citarne alcuni). Di certo questa uscita di scena getta un’ombra sulla sua presidenza e non gli permetterà, salvo miracolose riabilitazioni, di continuare a fare politica. Tutto questo è intollerabile nel cuore di un impero sempre più fragile.

A proposito di impero, val la pena notare come fu proprio ai primi di gennaio del 49 a.C. che un altro arruffapopoli capace di parlare ai reietti di allora, Giulio Cesare, oltrepassò il Rubicone, iniziando così una guerra civile che durò quattro anni. Proprio quella che molti in America desiderano. Corsi e ricorsi della storia.

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