La pressione internazionale sull’Iran sta aumentando. Le spinte maggiori arrivano da tre fronti: Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita. Ognuno di questi attori, per specifici interessi personali, auspica la fine della Repubblica Islamica e del regime degli ayatollah. La destabilizzazione siriana poteva essere l’opportunità, per l’asse Washington-Tel Aviv-Riyad, di indebolire materialmente Teheran.
Invece il conflitto in Siria ha prodotto l’effetto opposto. L’influenza dell’Iran in Medio Oriente è ora più forte che mai, riuscendo a mantenere intatta e a rafforzare l’asse sciita che unisce prima idealmente, adesso anche fisicamente, Teheran con Beirut, passando per Baghdad e Damasco.
Trump si rivolge agli iraniani vittime del regime
Ecco che la strategia dei Paesi ostili all’Iran deve cambiare. Se da una parte Israele si prepara ad un conflitto diretto con le forze di Hezbollah nel sud del Libano, dall’altra Washington prova a intraprendere un’altra via per indebolire gli ayatollah. Come riportato dal portale saudita Al arabiya e confermato dal Washington Examiner, Donald Trump negli ultimi suoi interventi sull’Iran avrebbe inserito una nuova variabile, che potrebbe essere lo strumento per un futuro regime change in Iran: la popolazione.
Per la prima volta il tycoon si è infatti rivolto direttamente agli iraniani. “Il Regime del Leader Supremo Ali Khamenei opprime il suo popolo e ne viola i suoi diritti. Noi siamo in totale solidarietà con la più grande vittima sofferente del regime iraniano: la sua popolazione. I cittadini iraniani hanno pagato a caro prezzo la violenza e l’estremismo dei loro leaders. La popolazione iraniana ha ora il diritto di reclamare la loro storia grandiosa, la loro cultura, la loro civilizzazione e la cooperazione con i loro vicini”, si è così espresso il tycoon in un recente intervento.
L’opposizione iraniana tende la mano a Trump
Cambio di strategia per un cambio di regime, quindi. Non più attacco diretto al governo sciita, ma sostegno alla popolazione che si suppone essere in sofferenza. Ricorda molto la strategia adottata dall’amministrazione Obama poco prima dell’inizio delle rivolte in Siria. In quel caso la Casa Bianca scelse il finanziamento dell’opposizione “moderata” per far cadere Assad. Trump potrebbe ora pensare alla stessa soluzione.
L’atteggiamento ostile e aggressivo di The Donald verso la Repubblica islamica è stato infatti applaudito da quelli che sono i principali oppositori degli ayatollah. Si tratta del Consiglio Nazionale della Resistenza iraniana. Un’organizzazione nata e cresciuta fuori dall’Iran (fondata nel 1993) che si è auto proclamata Parlamento legittimo in esilio. Attualmente stabilitasi a Parigi, l’organizzazione era stata inserita proprio da Washington all’interno della “blacklist” dedicata alle organizzazioni terroristiche.
Il motivo di ciò era dovuto sia alla vicinanza tra il Consiglio di Resistenza e l’allora Presidenza di Saddam Hussein sia al legame con il partito Mojahedin del Popolo Iraniano, un movimento armato che aveva organizzato attacchi diretti contro Teheran.
Collaborare per una transizione democratica in Iran
Oggi la leader di questo Consiglio di Resistenza, tale Maryam Rajavi, incita il presidente americano a continuare la sua aggressione, per ora diplomatica, contro l’Iran. Anzi, la stessa spinge il tycoon oltre, fino a quella che lei chiama “soluzione finale: il rovesciamento del regime e l’installazione della libertà e della democrazia in Iran”. In poche parole un chiaro invito a collaborare per un regime change a Teheran.
In quest’ottica la leader dell’opposizione in esilio chiede che Washington riconosca la suo organizzazione come la “sola democratica alternativa ai terroristi, alla dittatura religiosa in Iran per rimettere in sesto la disastrosa politica del passato”. Maryam Rajavi tende così la mano alla Casa Bianca e si offre come strumento per soddisfare gli obiettivi politici americani.
Vi è tuttavia da ricordare che come successe in Siria, anche in questo caso dietro al volto di donna rappresentante di un’opposizione apparentemente pacifista e democratica, si possa nascondere un animo più pericoloso. È doveroso ricordare come Maryam Rajavi sia finita sotto processo in Francia per aver “preparato e finanziato atti di terrorismo”, mentre la Corte Suprema irachena nel 2010 ha condannato la stessa al carcere per “crimini contro l’umanità”. Prende dunque sempre più forma l’idea di un’opposizione “moderata” che faccia in Iran ciò che non si è riusciti a fare in Siria.