Come ebbe più volte a dire Guido Carli, “un’idea ben posta fa più rumore di un pugno sul tavolo”. La frase dello storico protagonista della vita politica ed economica della Prima Repubblica si applica bene alle politiche del nuovo governo italiano, che dopo aver portato al centro del dibattito comunitario l’attenzione sulla questione dei migranti, che secondo il ministro degli Esteri Moavero Milanesi rischia di fratturare l’Europa, è atteso ora dalle difficoltà della fase propositiva, che deve saper andare oltre le conclusioni del Consiglio europeo del 28 giugno.

L’Italia affronta infatti una sfida multidimensionale in campo comunitario: Roma deve infatti rilanciare la proiezione mediterranea dell’Unione per ovviare all’esigenza migratoria e mediare tra le posizioni franco-tedesche e il blocco di Visegrad; è suo obiettivo controllare che la Germania non punti alla collateralizzazione dei saldi del Target2; dovrà ovviare alla fine del quantitative easing prevista per il 2019 e prevenire eventuali difficoltà finanziarie. In poche parole, deve implementare una strategia capace di rafforzare la solidarietà comunitaria e rendere l’Unione più utile al soddisfacimento dei suoi interessi nazionali.





Nel governo a trazione leghista e pentastellata vi è però il ministro capace di mediare tra la volontà di portare in testa all’agenda europea i temi prioritari per l’Italia e la necessità di rispondere con una visione d’insieme in discontinuità con uno status quo. Il portavoce delle “idee ben poste” è proprio il ministro per gli Affari Europei, quel Paolo Savona tanto discusso nelle scorse settimane che, non a caso, è stato storico allievo e collaboratore di Guido Carli.

I limiti dell’Europa secondo Savona

Nei giorni in cui Savona appariva il favorito per la delicata poltrona dell’Economia e sul suo nome si consumava la clamorosa frattura istituzionale tra il Quirinale e la maggioranza giallo-verde, l’economista e accademico 82enne è stato oggetto di un’ingenerosa campagna mediatica tesa a presentarlo come una minaccia per la tenuta del sistema euro, come l’uomo dello spread. Altrettanto grottesche le pressioni per un’abiura delle sue tesi, a cui Savona ha risposto il 31 maggio con una nota in cui invocava un’Europa “diversa, più forte, ma più equa”.

Nominato nel governo nella posizione più defilata, ma strategica, di titolare del dicastero per i rapporti comunitari, Savona ha potuto articolare il suo discorso alla vigilia del Consiglio del 28 giugno attraverso il suo primo discorso alla Camera dei Deputati e un messaggio inviato all’assemblea di Confindustria.

Parlando in Parlamento, il ministro ha in primo luogo evidenziato una notevole criticità dell’architettura comunitaria, ovvero la mancanza di un adeguato strumento politico-economico capace di controbattere alla speculazione finanziaria e la lacunosità degli “strumenti alternativi finora proposti”, ricordando poi che il governo, in Europa, è tenuto a operare “per la storia, non per la cronaca”.

Nel suo messaggio agli industriali, Savona ha poi criticato le pietre miliari della proposta di riforma targata Merkel e Macron: “Ritenere che il problema possa essere risolto con la nomina di un ministro europeo della Finanza, che sia guardiano della politica dell’offerta, mi sembra un rafforzamento di una impostazione inadeguata. Né un’unione bancaria europea che si fondi sull’abbassamento del rischio bancario valutato meccanicamente su cinque parametri, né l’offerta di creare una Fondo Monetario Europeo che intervenga imponendo condizionalità per garantire le riforme ancor meno possono ovviare all’assenza di una politica della domanda”.

La visione di Savona: ristrutturare l’architettura europea per migliorarne l’efficienza

Sotto il profilo economico, Savona ritiene che l’Unione europea e la Bce debbano passare da politiche di tutela stretta dell’offerta e della stabilità dei prezzi a scelte economiche più espansive, che passino attraverso il rafforzamento della domanda interna degli Stati e l’imposizione di spinte esogene alla crescita. Un’idea a cui si ispirano proposte di buon senso come quella del politologo Roberto Marchesi, che sul Fatto Quotidiano ha perorato la necessità di riformare la Bce “consentendole di intervenire a sostegno delle imprese e contro la disoccupazione con un Qe mirato a questo scopo invece che a quello più generale di sostenere la liquidità monetaria”.

A Savona non sfugge il nesso tra architettura istituzionale e azione politica dell’Unione europea. “Agire solo sulla seconda è un compito defatigante e per molti versi inutile, se non proprio pericoloso per la coesione europea e il futuro dell’Italia”.

Parole che appaiono completamente slegate dalla figura di Savona presentata, tra fine maggio e inizio giugno, da una certa stampa e che sottendono la necessità per l’Italia di agire a viso aperto negli scenari comunitari, puntando a segnalare le “idee ben poste” di cui parlava Carli. Savona, ha scritto Luigi Bisignani, “sostiene da sempre che c’è un solo modo per difendere l’euro ed è quello di rafforzare l’Europa politica” attraverso opportuni check and balances che permettono maggiore democraticità tra gli Stati e maggiore cooperazione reale. A Paesi come la Germania, la visione di Savona di un’Europa “diversa, più forte, più equa” potrà non piacere, ma per l’Italia è una strada incoraggiante, che per Roma risulta necessario percorrere. Ora più che mai, prima ancora che occupare le prime pagine dei notiziari, per il governo è arrivato il momento di proporre cambiamenti sostanziali che potrebbero essere decisivi sul lungo periodo.

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