“Nella buona e nella cattiva sorte” è la formula usata per unire due parti in matrimonio, è una promessa che marito e moglie recitano davanti un altare. Essa vale spesso anche per altri tipi di matrimonio, a partire da quelli politici ed economici stipulati tra due nazioni. Si può dunque dire che tra Usa ed Arabia Saudita l’alleanza vale nella buona e nella cattiva sorte, a prescindere da chi regna in casa Saud, a prescindere se alla Casa Bianca c’è un democratico ed un repubblicano, a prescindere se scandali di omicidi e corruzione sconvolgano o meno il regno del petrolio. Il caso Kashoggi ne è emblematica testimonianza.
Nessun passo indietro Usa nell’alleanza con i Saud
Il caso del giornalista Kashoggi, come prevedibile, non riempie più le prime pagine. Non è al centro dei notiziari americani, impegnati specie in queste ore con le elezioni di medio termine, non se ne parla quasi più nemmeno nel Paese dove è avvenuto l’omicidio, la Turchia. Eppure il presidente Recep Tayyip Erdogan avrebbe tutto l’interesse a continuare l’azione di discredito nei confronti dei Saud, suoi rivali in Medio Oriente. Anche in Europa la notizia non sembra suscitare più l’interesse dei primi giorni. Si è verificato quanto pronosticato. Il mistero della sparizione del giornalista saudita, non certo amico del principe ereditario saudita Mohammad Bin Salman, scoppia il 2 ottobre scorso quando il cronista entra nel consolato saudita di Istanbul. Poi di lui si perdono le tracce, fino a quando anche da Riad si conferma che Kashoggi è stato ucciso. Ancora gli inquirenti cercano il suo corpo, probabilmente fatto a pezzi per cercare di nascondere il più possibile l’accaduto.
Da un punto di vista investigativo molte cose non tornano, ma sotto il profilo politico il caso è già chiuso. Nonostante l’onda emotiva interna all’opinione pubblica americana ed europea, non c’è nessun passo indietro circa l’alleanza tra Usa (e, di riflesso, l’occidente) e l’Arabia Saudita. Il dito puntato da molti contro Mohammad Bin Salman non sembra smuovere, in tal senso, le acque. Nei primi giorni dalla Casa Bianca si ipotizza, per provare a salvare la faccia, l’azione di qualche cellula solitaria impazzita interna ai servizi sauditi. Un modo per iniziare anche a far sgonfiare la pressione sul principe ereditario. Un modo, in poche parole, per aiutare l’attuale leadership a Riad. Eppure proprio nelle settimane precedenti all’omicidio Kashoggi, qualche frecciatina non tanto velata Trump a Mohammad Bin Salman l’ha lanciata: “Senza di noi, durereste quindici giorni. Dovreste pagarci per la sicurezza che vi forniamo”, ha urlato in un comizio rivolgendosi a Re Salman ed al figlio erede al trono. Ma, come in ogni matrimonio, alla fine prevale la promessa “nella buona e nella cattiva sorte” appunto. E così, nonostante qualche divergenza, gli Usa vanno in soccorso dei consorti sauditi. Tutto appianato, tutto superato. Il matrimonio tra Washington e Riad può continuare.
Il perché della solida alleanza tra Stati Uniti ed Arabia Saudita
Non c’è soltanto il petrolio lungo l’asse che lega i due Paesi. Chiaro che l’oro nero fa gola, del resto le riserve saudite da decenni sono quelle da cui si estraggono alcune delle quantità maggiori di greggio. Ma tra Casa Bianca e palazzo reale di Riad il matrimonio è figlio di tanti altri numerosi interessi. In primo luogo, gli Usa hanno bisogno di basi e di liberi accessi per i propri mezzi militari in Medio Oriente. Lo si è visto ad esempio durante la Prima Guerra del Golfo, quando lo stanziamento di un grande contingente in Arabia Saudita si è rivelato decisivo per le sorti di quel conflitto contro Saddam Hussein. Dunque, per la sua posizione strategica, il regno dei Saud non può essere abbandonato né lasciato al suo destino. Quella stessa sicurezza per la quale Trump esorta il pagamento di altri dollari agli americani, per Washington in realtà è essenziale per la sua strategia in Medio Oriente. Ecco perché, a prescindere che sieda un democratico o un repubblicano, gli Usa difficilmente mollerebbero i Saud anche se questi ultimi si rendono protagonisti di crimini e scempi. Il caso Kashoggi, così come soprattutto la scriteriata guerra nello Yemen, sono soltanto alcuni degli ultimi episodi che vedono la casa reale saudita profondamente screditabile.
Poi vi è anche la questione delle armi. Nel mese di maggio del 2017 il primo viaggio di Trump all’estero come presidente è proprio in Arabia Saudita ed esce fuori un contratto da 140 miliardi di dollari in dieci anni per la fornitura di armi a Riad. La necessità della sicurezza nel paese alleato ha per gli Usa anche un inevitabile vantaggio economico sotto il profilo della vendita delle armi. Dunque, prima ancora che politica, la questione appare militare e sarebbe proprio l’apparato militare a premere affinché mai venga messa in discussione l’alleanza tra i due paesi. A sottolinearlo è il politologo Micah Zenko in un articolo apparso su Foreign Policy. “In tutte le amministrazioni democratiche e repubblicane – scrive Zenko – l’accesso militare diretto e stabile al Medio Oriente è una priorità di politica estera molto più alta di qualsiasi considerazione morale o etica”. Al di là di Kashoggi, al di là dello Yemen, al di là degli arresti senza processo e della persecuzione degli sciiti nel Qatif: l’alleanza tra Usa ed Arabia Saudita va avanti al di là di tutto e tutti. E sarà così ancora per lungo tempo.