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Polonia ed Ungheria hanno annunciato la creazione di un organismo comune che si occuperà di monitorare il rispetto dello stato di diritto all’interno dell’Unione Europea. L’organismo, nelle intenzioni di Budapest e Varsavia, dovrà fungere da contrappeso alle istituzioni europee che si occupano del medesimo compito e che, secondo i due Paesi del Blocco di Visegrad, non sarebbero imparziali nei loro confronti.  Il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto ha dichiarato che l’obiettivo finale è quello di evitare l’applicazione di “doppi standard” nei confronti delle due nazioni. L’esecutivo sovranista polacco guidato dal premier Mateus Morawiecki e quello ungherese presieduto da Viktor Orban sono in pessimi rapporti con le istituzione europee, che li hanno accusati di voler esercitare un controllo eccessivo nei confronti di giudici, tribunali, istituzioni accademiche ed organizzazioni non governative. Il summit europeo svoltosi a luglio ha inoltre posto il rispetto dello stato di diritto come condizione necessaria per poter godere della ripartizione di fondi per la ricostruzione post-pandemia. Budapest e Varsavia temono di essere escluse da questa ripartizione e di restare così ai margini.

Un contrasto insanabile

Le relazioni tra Unione Europea, Polonia ed Ungheria potrebbero aver raggiunto un punto di non ritorno. Le politiche migratorie si sono rivelate, in più occasioni, un vero e proprio terreno di scontro tra le parti. Gli esecutivi Orban e Morawiecki sono fermamente contrari ad ogni ipotesi di ricollocamento dei migranti e più in generale contestano i principi delle politiche di accoglienza volute da Bruxelles.  Le controversie hanno toccato anche il sistema giudiziario polacco, con Bruxelles che ha accusato Varsavia di voler indebolire l’indipendenza della magistratura e l’esecutivo del Paese pronto a ribadire, con fermezza, la propria opposizione alla linea delle istituzioni europee. Il nuovo progetto, che dovrebbe portare alla nascita di un organismo comune tra i due Paesi, può portare lo scontro su un nuovo piano, che intacca le radici stesse del progetto europeista. Alcuni Stati membri dell’Unione, in primis quelli guidati da partiti sovranisti o nazionalisti, osteggiano ogni tentativo di rafforzare le strutture comunitarie e mirano a creare delle mini alleanze o club ristretti in grado di rallentare la spinta espansiva di Bruxelles. Il problema, però, è che altrettanti Paesi, come quelli del Benelux, guardano con favore ad un potenziamento delle istituzioni comunitarie anche a costo di rinunciare ad alcune prerogative statali.

Una rottura inevitabile

La dura verità è che l’Unione Europea si è allargata troppo ed al suo interno convivono ideologie contrastanti. Queste ideologie minano il funzionamento degli organismi comunitari, li rendono più inefficienti e porteranno, nel lungo termine, ad un indebolimento delle istituzioni. Polonia ed Ungheria sono poi state trasformate nel capro espiatorio di tutti i problemi comunitari. Bruxelles ha però esitato nell’attivare la procedura prevista dall’articolo 7, la cosiddetta opzione nucleare, che priverebbe le due nazioni del diritto di voto in sede comunitaria e che provocherebbe il definitivo allontanamento dei due Stati dal progetto europeista. Le esitazioni istituzionali possono rafforzare l’asse tra Budapest e Varsavia, i cui esecutivi non hanno alcuna intenzione di abbandonare l’Unione e che mirano, piuttosto, a sabotarla dall’interno sperando nella vittoria dei movimenti sovranisti in altre nazioni. L’ossessione di Bruxelles nei confronti di Polonia ed Ungheria rischia poi di far passare in secondo piano le problematiche di altri Stati e di creare più danni che benefici. L’omicidio della giornalista Daphne Caruana Galizia a Malta, così’ come quello del collega Ján Kuciak in Slovacchia, hanno evidenziato i gravi problemi del settore dell’informazione in quei Paesi. Lo stato di diritto non è del tutto rispettato anche in nazioni come Bulgaria, Francia, Grecia e Italia. Nei confronti di queste nazioni, però, le punizioni minacciate da Bruxelles sono decisamente più blande e non segnate dal pregiudizio ideologico.





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