Si va verso le elezioni più surreali del recente passato: da un lato infatti c’è una macchina organizzativa statale attiva da giorni per organizzarle, dall’altro c’è però una popolazione che non vuol sentir parlare di urne aperte e di file ai seggi. Il riferimento è all’Algeria ed a quelle elezioni presidenziali previste per il prossimo 12 dicembre, concepite per far superare l’attuale fase di stallo post Bouteflika ma che si potrebbero trasformare in un elemento di maggior tensione per il paese.

Il pericolo durante la fase elettorale

Per far capire al meglio le incognite in Algeria nei prossimi giorni, occorre fare un piccolo passo indietro. Nello scorso mese di febbraio sono iniziate le manifestazioni contro la ricandidatura di Abdelaziz Bouteflika, presidente in procinto di correre per un quinto mandato consecutivo nonostante l’età e nonostante una condizione di salute che dal 2013 non gli consente di dedicarsi a pieno al delicato incarico. Le manifestazioni di piazza, pacifiche e non represse dall’esercito, hanno ottenuto come risultato prima quello del ritiro della candidatura di Bouteflika, successivamente quello delle dimissioni del presidente arrivate il 2 aprile scorso. Da quel momento l’Algeria è retta ad interim dal presidente del parlamento, Abdelkader Bensalah. Quest’ultimo ha avuto da subito come mandato quello di organizzare nuove elezioni.

Dopo aver annullato le consultazioni fissate a luglio per mancanza di candidati, si è proceduto ad organizzare le presidenziali per questo 12 dicembre. Ma la piazza non crede in queste elezioni. I manifestanti temono infatti che queste consultazioni servono semplicemente a dare legittimità al sistema politico al potere con Bouteflika. Dopo le dimissioni di quest’ultimo, la gente ha continuato a rimanere in piazza chiedendo una gestione della transizione non affidata agli stessi uomini al governo durante l’era Bouteflika. Anche negli ultimi giorni, in diverse proteste si è gridato a gran voce contro Bensalah e contro tutti i rappresentanti dell’attuale “pouvoir“.

Ne è nata un’insolita campagna elettorale, con le persone sì in piazza ma non per ascoltare i comizi bensì per evitarli. In pochi hanno avuto voglia di sentire i cinque candidati, quattro dei quali ex ministri durante l’era Bouteflika. Nessun duello tv, nessuna massiccia complessiva partecipazione agli incontri elettorali, la campagna per le presidenziali è andata avanti in questo mese in un clima piuttosto insolito. E adesso il rischio è che, durante il voto, nascano scontri e proteste per non far disputare le consultazioni. C’è chi ha chiamato ad un semplice pacifico boicottaggio, ma l’impressione è che giorno 12 dicembre i seggi saranno vere e proprie zone militarizzate con all’interno più soldati che elettori.

Le incognite post voto

Lo spauracchio maggiore riguarda lo scenario post elettorale. L’Algeria a quel punto sarà ad un bivio: accettare il responso delle urne, a prescindere dalla partecipazione popolare, oppure dare seguito alle istanze della piazza. Chiaro che l’attuale leadership, che ha voluto le elezioni, proverà in tutti i modi a far digerire al paese la legittimità delle elezioni ed i risultati che ne usciranno. Anche a costo, ed è questo il timore principale, di mandare nelle piazze più agenti e più soldati.

Dal 12 dicembre dunque l’Algeria potrebbe entrare in una fase ancora più turbolenta, con incognite sempre più marcate per il suo futuro. Il presente intanto parla di una paralisi economica acuita dalle proteste e dalle incertezze, paralisi su cui le forze politiche vorrebbero far leva per convincere la gente a votare ed a far ripartire il paese. Perché l’aspetto più surreale di queste elezioni è proprio questo: la vera corsa non è quella volta a conseguire più voti possibili, bensì quella avente come obiettivo il portare più gente possibile al voto.





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