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Lo scenario post elettorale dell’Algeria non è così distante da quello auspicato dal capo dello Stato, Abdelmadjid Tebboune. C’è stato sì un rafforzamento dei movimenti islamisti, ma non un vero e proprio sfondamento. Inoltre il Fronte di Liberazione Nazionale (Fln), partito al potere dall’indipendenza, ha mantenuto il primato nelle preferenze nonostante la perdita di almeno 63 seggi nel nuovo parlamento. In questa maniera il presidente ha potuto rilanciare un governo di unità nazionale proprio con gli islamisti, definiti da Tebboune “moderati” alla vigilia del voto, isolando così i manifestanti del movimento Hirak. Con le ultime consultazioni, il Paese sembra aver terminato la fase di transizione inaugurata nel 2019. Anche l’Italia è spettatrice interessata: la stabilità algerina è importante per molti dossier seguiti dal nostro governo.

Un parlamento più frazionato

L’assemblea legislativa algerina è formata da 407 deputati. Nel parlamento uscente, 161 erano del Fln e 100 invece del partito centrista moderato Rnd. Assieme le due formazioni avevano ampiamente la maggioranza assoluta, monopolizzando quindi le attività della Camera e detenendo buona parte del potere decisionale. Adesso la situazione appare molto diversa. Nelle elezioni dello scorso 12 giugno, le prime dopo l’era Bouteflika, il Fln ha sì conservato la maggioranza relativa ma i seggi a sua disposizione sono 98. Il partito Rnd invece è riuscito ad ottenere 58 seggi, 42 in meno rispetto alla precedente assemblea. Numero che danno il segno di un maggiore frazionamento a vantaggio delle formazioni islamiste. Tra queste a spiccare è il Movimento per la Società e la Pace guidato da Abderrazak Makri, balzato da 34 a 65 seggi. C’è poi il partito del Fronte Futuro capace di entrare in parlamento con 48 deputati.

A crescere è anche il numero dei parlamentari indipendenti, ben 84 rispetto ai 29 dell’assemblea uscente. La politica algerina è dunque entrata in una fase nuova, dove il partito guida è adesso un “semplice” partito di maggioranza e dove islamisti e indipendenti rendono apparentemente pluralista il sistema politico del Paese nordafricano. In totale saranno 14 le formazioni e i movimenti rappresentati nel nuovo parlamento, un fatto inedito per l’Algeria.

L’incarico come premier dato a un “tecnico”

Le legislative di giugno hanno completato la transizione iniziata con le dimissioni, nel mese di aprile del 2019, dell’ex presidente Abdelaziz Bouteflika. Al potere dal 1999 e gravato da condizioni di salute molto precarie, due anni fa la stessa ipotesi di una sua ricandidatura ha generato proteste ancora oggi in corso in tutto il Paese. Le manifestazioni hanno prima portato al ritiro dalla corsa presidenziale del 2019 dello stesso Bouteflika e successivamente alle due dimissioni. Le elezioni, svoltesi poi nel dicembre di quell’anno, hanno incoronato l’attuale presidente Abdelmadjid Tebboune. Sciogliendo la precedente assemblea per indire le nuove consultazioni legislative, il capo dello Stato era ben consapevole di andare incontro a un ridimensionamento del Fln e, contestualmente, a un rafforzamento della parte islamista. Circostanza però non mal vista dallo stesso Tebboune. Dare vita a un parlamento più frazionato è un modo per dare una parvenza di maggior democrazia all’interno del Paese, assecondando quindi le istanze dei movimenti di protesta.

Per questo il presidente algerino ha lavorato alla vigilia per la creazione di un fronte unico con gli islamisti. Una circostanza, tra le altre cose, in grado di isolare la società civile ancora in piazza e confluita nel movimento denominato Hirak. Due obiettivi quindi in un sol colpo: presentare l’Algeria come una democrazia più compiuta e mettere ai margini quegli stessi movimenti nati proprio con l’intento di chiedere un maggior pluralismo. Le elezioni di giugno sono state le prime dopo l’entrata in vigore della nuova Costituzione che, tra le altre cose, prevede la nomina del nuovo primo ministro da parte del presidente ma solo dopo un giro di consultazioni con i partiti. Vista la frammentazione nella nuova assemblea, Tebboune ha avuto gioco facile nel nominare un tecnico già ministro delle Finanze e governatore della Banca Centrale. Si tratta di Aymen Benabderrahmane, chiamato a formare un governo in grado di mantenere al proprio interno le principali forze politiche. La sua nomina evidenzia come i temi più ricorrenti nel futuro immediato della politica algerina riguarderanno la ripresa dell’economia, gravemente colpita dalla pandemia e dai cronici problemi strutturali.

Draghi: “Proseguire la cooperazione”

Tra i primi messaggi di congratulazioni per la nomina di Aymen Benabderrahmane quale nuovo premier incaricato, c’è stato quello inviato da Palazzo Chigi dal capo del nostro governo: “Il Presidente del Consiglio, Mario Draghisi legge in una nota – si felicita per la nomina a Primo Ministro di Aymen Benabderrahmane. Il governo italiano desidera rafforzare ulteriormente l’amicizia e il partenariato strategico italo-algerino, anche nella prospettiva delle importanti riforme in corso nel Paese e dei prossimi appuntamenti istituzionali dell’agenda bilaterale e multilaterale”. L’Italia ha con l’Algeria buoni rapporti, intenzione dell’attuale esecutivo è quello di rafforzarli. Diversi infatti gli interessi in ballo, a partire da quelli energetici visto che il gas algerino alimenta per quasi il 20% il fabbisogno italiano. Ci sono poi alcuni dossier cruciali quali, tra tutti, quello relativo all’estensione della Zee. Algeri nel 2018 aveva unilateralmente fissato i confini della propria zona economica esclusiva spingendosi a 12 km dalle coste della Sardegna. Attualmente sono in corso trattative tra le parti per definire le rispettive aree di competenza. Da non dimenticare poi la questione immigrazione: tra il 2017 e il 2020 sono stati centinaia i barconi partiti dall’Algeria ed approdati soprattutto lungo le coste sarde. Per l’Italia quindi la stabilità algerina è una buona notizia. Da qui il messaggio di Draghi e le prospettive di future collaborazioni con il nuovo governo.

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