La recente attenzione sull’Asia centrale è soltanto l’ultima sortita diplomatica della Cina. Nella lunga lista di Pechino, infatti, figurano Paesi, continenti e regioni, considerati soggetti con i quali stringere alleanze strategiche. La Belt and Road Initiative, il mastodontico progetto infrastrutturale lanciato da Xi Jinping nel 2013, aveva il compito di unire la Repubblica Popolare Cinese al continente eurasiatico e all’Africa, mediante la costruzione di hub logistici o infrastrutture chiave, come strade, porti e aeroporti.

La pandemia di Covid-19 e la conseguente chiusura a riccio della Cina hanno mescolato le carte in tavola (dai progetti africani al Corridoio Economico Cina-Pakistan), mentre lo scoppio della guerra in Ucraina ha generato altri due effetti non preventivati.

Il primo: l’implosione dell’Ucraina stessa, nazione sulla quale il Dragone ha investito ingenti capitali, ha distrutto una potenziale testa di ponte della BRI che avrebbe contribuito a collegare l’ex Impero di Mezzo all’Europa. Ricordiamo che, nel 2019, la Cina aveva scavalcato la Russia diventando il più grande partner commerciale dell’Ucraina, con un commercio complessivo di 18,98 miliardi di dollari e un incremento di quasi l’80% rispetto al 2013. Non solo: nel 2021, le esportazioni ucraine verso la Repubblica Popolare – comprendenti per lo più materie prime come minerali ferrosi, mais e olio di girasole – hanno toccato quota 8 miliardi di dollari, mentre le importazioni dalla Cina – in larga parte macchinari e beni di consumo – sono state pari a 10,97 miliardi di dollari.

Il secondo effetto figlio del conflitto russo-ucraino è il seguente: la spaccatura del mondo in blocchi contrapposti. In tal senso, l’Occidente considera Pechino un attore ambiguo, con tutti i contraccolpi economici del caso.

È logico che in un simile scenario Xi non potesse accontentarsi di risvegliare la BRI. Serviva un colpo di reni, una scarica di adrenalina. Che, puntualmente, si è manifestata nel corso degli ultimi mesi. In che modo? Attraverso quella che i media cinesi hanno rinominato Xiplomacy, ovvero la diplomazia costruita, passo dopo passo, da Xi Jinping in persona attraverso accordi, incontri e viaggi. Certo, la pandemia ha costretto il presidente cinese a passare decine di mesi chiuso in una bolla, senza poter incontrare o ricevere nessuno. Ma la Cina ha comunque continuato a tessere la sua tela. E adesso è pronta a dipingerla.


La diplomazia di Xi

Xi Jinping ha più volte invitato la comunità internazionale ad abbracciare una filosofia di governance globale, in grado di enfatizzare “l’ampia consultazione, il contributo congiunto e i benefici condivisi”, giusto per citare alcuni termini riportati da Xinhua. Lo scorso giugno, in occasione del 14esimo summit virtuale sei Paesi BRICS, il leader cinese ha spiegato ciò che la Cina crede che il mondo dovrebbe fare per affrontare le sfide globali e stimolare lo sviluppo comune.

Intanto, Xi ha proposto la Global Security Initiative (GSI), che sostiene una visione di sicurezza comune, globale, cooperativa e sostenibile. Si tratta, sulla carta, di un “nuovo tipo di sicurezza che sostituisce il confronto, l’alleanza e un approccio a somma zero con dialogo, partnership e risultati vantaggiosi per tutti”. In attesa di capire meglio coma si concretizzerà una proposta del genere, il capo di Stato cinese ha quindi avanzato l’Iniziativa di sviluppo globale (GDI), la quale mira a “rilanciare l’attuazione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile e costruire una comunità globale di sviluppo”.

Scendendo nello specifico, nonostante relazioni economiche ancora rilevanti, i rapporti diplomatici tra Cina e Stati Uniti sono ai minimi termini, mentre quelli con l’Europa risentono sia delle pressioni di Washington sia della diffidenza che, con il tempo, Bruxelles ha accumulato nei confronti di Pechino. È anche per questo motivo che il Dragone ha preferito guardare altrove, cercando di plasmare un nuovo ordine mondiale aperto a tutti, con un particolare occhio di riguardo ai Paesi più strategici, ovvero quelli in via di sviluppo.



Africa

Con il crollo delle relazioni con gli Stati Uniti e l’Europa, la Cina sta dando il via a una nuova ondata di diplomazia in Africa, dove domina il commercio con le nazioni ricche di risorse e mantiene legami amichevoli con leader per lo più autoritari, libera dalla concorrenza dell’Occidente.

Secondo quanto riportato dal New York Times, nel continente nero Pechino sta adeguando il suo approccio, integrando più da vicino gli sforzi finanziari e diplomatici. È un riconoscimento del fatto che la sola costruzione di nuove superstrade, dighe idroelettriche e grattacieli, come la Cina ha cercato di fare con la Belt and Road Initiative, non era sufficiente, da solo, a garantire le relazioni.

Per completare le infrastrutture citate, Xi ha avviato la citata GSI, un ampio sforzo per unire i paesi in via di sviluppo. Il Dragone sta attualmente cercando di raggiungere, lo Zambia, una nazione fortemente indebitata con grandi miniere di rame, dall’Etiopia. Allo stesso tempo, i cinesi si offrono di mediare nei conflitti civili che stanno causando una carestia devastante in loco e, cosa più significativa, sta segnalando una nuova strategia per risolvere il nodo dei miliardi di dollari in prestiti cinesi scaduti, cancellando o ristrutturando i debiti dei partner africani.

America Latina

Per quanto riguarda l’America Latina, la Cina ha investito più di 130 miliardi di dollari nella regione tra il 2005 e il 2020. Paesi come Brasile, Perù, Cile e Argentina hanno ricevuto rispettivamente 60 miliardi, 27 miliardi, 15 miliardi e 12 miliardi di dollari. Tra il 2000 e il 2018, la Cina ha investito 73 miliardi di dollari nel settore delle materie prime del continente, anche costruendo raffinerie e impianti di lavorazione in nazioni con quantità significative di carbone, rame, gas naturale, petrolio e uranio.

Più recentemente, Pechino ha investito circa 4,5 miliardi di dollari nella produzione di litio in Messico e nei cosiddetti Paesi del triangolo del litio, e cioè Argentina, Bolivia e Cile (la triade contiene più della metà del litio mondiale, un metallo necessario per la produzione delle batterie).

La China Development Bank, intanto, ha finanziato importanti progetti solari ed eolici, come il più grande impianto solare dell’America Latina a Jujuy, in Argentina, e il parco eolico di Punta Sierra a Coquimbo, in Cile. Dal punto di vista infrastrutturale, invece, Argentina, Brasile, Cile, Ecuador, Perù e Uruguay sono membri della Asian Infrastructure Investment Bank.

Il Dragone ha anche finanziato progetti di costruzione in tutta la regione, concentrandosi su dighe, porti e ferrovie, ed è adesso concentrata sulle “nuove infrastrutture“, come l’intelligenza artificiale, il cloud computing, la costruzione di città intelligenti e la tecnologia 5G. Argentina e Brasile, tra gli altri, dipendono da Huawei per le loro reti cellulari, e questo nonostante gli avvertimenti degli Stati Uniti.

Russia, Asia e resto del mondo

La Russia si è avvicinata di sua spontanea volontà alla Cina in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina. Anche prima del 24 febbrao, tuttavia, Vladimir Putin aveva scelto di guardare a est più che a ovest. Xi, a capo di una potenza energivora, ha accolto a braccia aperte il vicino di casa, il quale si trova ora in una posizione decisamente subordinata.

Con Mosca impantanata nel Donbass e dintorni, Pechino ha acceso i riflettori sull’Asia centrale. Pochi giorni fa, nel quasi ex cortile di casa del Cremlino, Xi ha chiesto “di rimodellare l’ordine internazionale”, parlando a Samarcanda, in Uzbekistan, al vertice dei Paesi dalla Sco (Shanghai Cooperation Organization), in una sorta di velata sfida all’influenza globale dell’Occidente. Nella regione, se il Kazakhstan è una riserva energetica invidiabile, l’Uzbekistan rappresenta un altro hub rilevante da portare dalla propria parte. E così ha cercato di fare il presidentissimo cinese. Per quanto riguarda il resto dell’Asia, Pechino sta cercando di ammorbidire i rapporti con la Corea del Sud e, probabilmente, nei prossimi mesi cercherà di implementare le relazioni con i Paesi Asean.

Da sottolineare, infine, il raffreddamento delle tensioni con l’India e la sempre più evidente convergenza di intenti tra la BRI cinese e la Vision 2030 dell’Arabia Saudita, il progetto abbracciato da Ryad per ridurre la dipendenza dell’Arabia Saudita dal petrolio, diversificare la sua economia e sviluppare settori di servizio pubblico come sanità, istruzione e turismo. La diplomazia di Xi non si ferma.





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