Fayez Al Sarraj è atterrato a Roma al culmine di due giornate contrassegnate da intensi colloqui tra le parte italiana e quella libica. Mercoledì nella capitale si è avuta la presenza del ministro dell’Interno libico Fathi Bashaga, il quale oltre a discutere con l’omologa Luciana Lamorgese sui discorsi relativi all’immigrazione e alla sicurezza, ha continuato il suo “tour” volto ad accreditarsi in seno alla comunità internazionale.

Il clima tra le due delegazioni

Sulla Libia sono in corso infatti numerose trattative diplomatiche volte a trovare un nuovo assetto politico e istituzionale. Bashaga, molto apprezzato in Turchia, punta a diventare uomo forte della Libia. Le ultime operazioni compiute in Tripolitania lo dimostrano: l’arresto di Bija e la chiusura dei centri per migranti lungo la costa sono soltanto alcune delle decisioni prese dal ministro dell’Interno per “presentarsi” quale volto affidabile in previsione futura.

È quindi in questo contesto che Al Sarraj ha incontrato giovedì sera a Palazzo Chigi il presidente del consiglio Giuseppe Conte. Il clima è stato descritto come sereno. Da parte italiana si è parlato, in particolare, del sostegno alla “road map” già approvata a Berlino durante il vertice tenuto il 19 gennaio scorso. Da parte libica è stata sottolineata l’importanza del sostegno italiano a Tripoli. Ma a dispetto comunque dell’apparente serenità, non sono mancati elementi in grado di destare perplessità all’Italia. A partire dal fatto che nelle stesse ore in cui si tenevano i colloqui romani, la Turchia annunciava l’inizio di esercitazioni a propria guida della Guardia Costiera libica. Circostanza quest’ultima che, sempre in ottica futura, potrebbe spedire l’Italia verso una condizione ancora più marginale.

L’ultima volta di Al Sarraj a Roma?

A settembre il premier libico ha annunciato le sue dimissioni a partire dal 31 ottobre. Quella di giovedì potrebbe essere quindi stata l’ultima visita nella capitale di Al Sarraj. Almeno da premier in carica. Perché in realtà se non dovesse essere trovato un nuovo nome entro fine del mese, il capo del governo resterà al suo posto per le attività di ordinaria amministrazione. E al momento questa prospettiva sembra la più quotata. È vero che a Ginevra nelle ultime ore le trattative tra le parti libiche hanno subito una repentina accelerazione, tanto da arrivare alla dichiarazione di cessate il fuoco permanente. Ma accordi su nuovi nomi da piazzare nel futuro consiglio presidenziale e nel prossimo governo appaiono al momento molto lontani. Per cui è possibile che a Palazzo Chigi non si sia tenuta alcuna cerimonia di commiato per Al Sarraj. Anzi, forse proprio quest’ultimo potrebbe aver chiesto un maggior appoggio all’Italia negli ultimi mesi che gli resteranno da leader del governo libico prima di tornare, come da lui auspicato, a Londra dalla famiglia.

Un tour più ampio

Jalel Harchaoui, research fellow del think tank olandese Clingendael Institute, ha spiegato a Insideover che la visita di Sarraj a Roma rientra in più ampio tour diplomatico che toccherà anche Francia e Algeria. “Tutto il governo si è messo in viaggio: non solo Sarraj ma anche il suo ministro degli Esteri Mohamed Siala e naturalmente il suo ministro dell’Interno, Fathi Bashaga. Non si tratta sono di Roma, ma ci sono indicazioni che ci sarà un’altra tappa a Parigi, in Francia, già lunedì. Ci sono voci anche su una possibile visita nello stesso formato in Algeria. É un modo per essere assertivi, anche se il significato della visita varia ovviamente da capitale a capitale. Il governo italiano ha profuso recentemente maggiori sforzi, per esempio inviando una squadra di sminatori a Tripoli, cosa che la Francia invece non ha fatto. Ma l’Italia oggi è in imbarazzo in Libia per la politica seguita dal primo governo di Giuseppe Conte, che è stata contraddistinta da una neutralità che però non è stata neutrale”, afferma l’esperto. In effetti, l’Italia è stata il principale artefice del rocambolesco insediamento di Sarraj a Tripoli nella primavera del 2016.

L’Italia ha perso terreno

Tutto è cambiato dopo il tentativo di spallata del generale Khalifa Haftar nell’aprile del 2019. “L’Italia ha cercato di porsi in modo equidistante quando il Gna è stato attaccato, perché in fondo pensava che Haftar potesse vincere. Questo spiega la posizione del governo Conte I ad aprile, maggio, giugno e luglio 2019. C’è stata poi un’altra fase con il governo Conte II, a partire dal settembre, quando l’Italia ha continuato ad essere molto, molto vicina alla Francia. Questo è stato un altro errore: l’Italia non ha visto arrivare l’intervento della Turchia, che ha cambiato tutto all’inizio del 2020. Solo allora l’Italia ha realizzato che stava perdendo su tutti i fronti. Il comportamento e l’attitudine del governo italiano nel 2019 ha compromesso l’unica area dove aveva un vantaggio storico, geografico e personale: la prossimità al Gna”. Il governo di Roma, a detta di Harchaoui, si è svegliato troppo tardi. “Quando la Turchia e il Gna hanno cominciato a vincere una battaglia dietro l’altra ad aprile, maggio e giugno 2020, allora gli italiani hanno realizzato che dovevano mobilitare molte energie per riottenere, ristabilire e ricostruire la posizione e la percezione originale dell’Italia prima dell’aprile 2019. Per tornare lì, l’Italia deve lavorare molto ed è quello che sta facendo in termini di mediazione dietro le quinte. Ma non sarà mai in grado di ricreare esattamente lo status di cui godeva prima dell’aprile 2019 in termini di influenza sulla Guardia costiera e sulle forze armate libiche. Non sarà più grado di fare la differenza mandando solo qualche centinaio di uomini”.

Il Gna è ancora vivo

Secondo l’esperto del Clingendael Institute, la visita di Sarraj è un modo di far vedere che il Gna è ancora vivo e ha vinto guerra. “Il che è un paradosso, perché il Gna non sopravviverà necessariamente nella sua attuale forma per tutta una serie di ragioni. Le Nazioni Unite stanno portando avanti un piano estremamente ambizioso: instaurare un governo di unità nazionale tutto nuovo riconosciuto dall’Onu, dall’est della Libia, dai gheddafiani, da tutti. Il primo passo sarà la creazione di un nuovo Consiglio presenziale di tre membri: ma chi rappresenterà il Fezzan? Sarà un esponente più vicino al Gna o più incline ad Haftar? Chi sarà il presidente? Probabilmente un esponente dell’est. Ma sarà una figura più pro-Haftar come Aguila Saleh o sarà un gheddafiano? E chi rappresenterà l’ovest? Sarà Sarraj, rimanendo come figura simbolica? Sarà Ahmed Maiteeq, che vuole sopravvivere in una posizione molto prestigiosa? Questo è il paradosso di tutto il tour del Gna”, aggiunge Harchaoui. “Loro dicono al mondo intero: noi esistiamo, siamo vivi, abbiamo vinto, ci siamo difesi e non ci avete trattato adeguatamente nel 2019. Ma allo stesso tempo non sono così potenti, perché ora è il tempo dei compromessi. Le Nazioni Unite vogliono un mix di pro-turchi e anti-turchi, pro-gheddafi e anti-gheddafi. Nessuno sa come metterli insieme”.

Le manovre di Bashaga e Sarraj

Questa incertezza di fondo spiega perché effettivamente i ministri del Gna stiano cercando una qualche forma di sostegno. “Forse Bashaga non sarà in grado di ricoprire la posizione a cui ambisce. Forse vuole rimanere come ministro dell’Interno riconosciuto al livello nazionale. Forse vuole di più, e se Sarraj lo ha sospeso a settembre è perché è stato evidentemente molto ambizioso. In questo contesto, Bashaga ha bisogno dell’aiuto dell’Italia, della Francia, dell’Algeria e di chiunque possa garantirgli appoggio. La Turchia, paradossalmente, va oltre questo processo: Ankara è già lì. Ci sono due facce di questo tour: uno è mostrare orgoglio, far vedere al mondo che se prima Roma e Parigi si potevano permettere di non rivolgersi al governo in modo inappropriato, ora le cose sono cambiate. Ma sono davvero cambiate? Molti esponenti di questo tour si mostrano assertivi in superficie, ma dentro di loro c’è un’insicurezza di base per l’ambizioso processo portato avanti dalle Nazioni Unite. In altre parole, non tutti gli attori del Gna sono sicuri di ottenere quello che vogliono. Basti pensare a Sarraj: a una settimana dalla scadenza del suo ultimatum sulle cosiddette dimissioni, le condizioni per la sua uscita di scena non si sono ancora verificate”, conclude Harchaoui.