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Per far avverare il suo  sogno neo ottomano il leader turco Recep Tayyip Erdogan deve prima pensare a limitare la crescente influenza dell’Arabia Saudita in Medio Oriente, e non solo, considerando come il principe ereditario Mohammad bin Salman sia stato ricevuto recentemente dai più importanti leader occidentali, a partire dal presidente degli Stati Uniti fino a quello francese.

La prima frattura tra Ankara e Riad si è aperta quando nell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (Oic)  sono cominciati a formarsi due schieramenti: il primo che vede più vicini Turchia e Iran, anche grazie all’inversione di rotta di Erdogan in Siria, che ha trasmutato la Turchia da autostrada del jihad per abbattere il regime di Assad a Paese potenzialmente alleato del regime siriano (alleanze e convergenze di interessi cambiano in fretta in Medio Oriente) soprattutto in funzione anticurda – e il secondo che vede il blocco Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto.

La seconda frattura si apre mercoledì 13 dicembre 2017, quando il presidente turco Erdogan organizza un summit d’emergenza dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (Oic), occasione durante la quale tutti i 57 stati membri hanno espresso, in blocco, la loro contrarietà nei confronti della decisione dell’inquilino della Casa Bianca Donald Trump, che aveva appena annunciato la volontà – poi diventata realtà – di spostare l’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme. L’elemento di novità, simbolo di rilevanti implicazioni, è che l’incontro sia stato tenuto  a Istanbul e non alla Mecca.

L’Organizzazione della Cooperazione Islamica (Oic) è nata nel 1969 principalmente in risposta al controllo israeliano su Gerusalemme. Il suo quartier generale è a Gedda e ha una delegazione permanente alle Nazioni Unite che rappresenta 57 paesi musulmani del mondo. Inizialmente entrare a far parte di questa organizzazione aveva un significato prettamente simbolico ma, dopo la Guerra del Golfo e con gli equilibri di potere in continuo mutamento, l’autorità dell’Organizzazione si è consolidata radicalmente diventando meno dipendente dalla linea dettata da Riad. Autorità che la Turchia di Erdogan vuole gestire.

La terza frattura, che potrebbe portare in un futuro prossimo a una crepa non indifferente, è arrivata ieri con le accuse, arrivate da diverse testate della stampa turca, che indicano l’Arabia Saudita come importante finanziatore delle milizie curdo siriane dell’Unità di protezione del popolo, note con la sigla Ypg. Milizie alleate degli Stati Uniti nella guerra contro i tagliagole dell’Isis ma che sono considerate da Ankara un’organizzazione terroristica al pari del Pkk. Gruppo armato che, come abbiamo raccontato su Gli Occhi della Guerra  , la Casa Bianca è disposta a sacrificare per tutelare il rapporto con quell’importante attore regionale che è la Turchia.

Secondo l’agenzia di stampa turca Anadolu  la scorsa settimana tre consulenti militari sauditi sarebbero stati nel villaggio di Harab Isk, nella provincia di Al Hasaka nel nord della Siria, per un incontro con le milizie Ypg. Su Anadolu sostengono che i consulenti militari fossero nel villaggio con l’intento di formare una forza araba con le forze di Sanadid, che combattono per il gruppo Ypg sotto il nome di Forze democratiche siriane (Sdf). L’agenzia di stampa vicina al governo turco sottolinea inoltre che i funzionari sauditi abbiano preparato postazioni per le comunicazioni ad al Hasakah e Qamishli con il fine di reclutare combattenti, promettendo un salario di 200 dollari ad ogni volontario. Secondo l’agenzia turca, l’Arabia Saudita avrebbe già iniziato a inviare camion carichi di aiuti alle Ypg attraverso l’Iraq il mese scorso, senza spiegare però il suo contenuto e senza rivelare se vi fossero contenute munizioni o armi all’interno.

Sempre secondo quanto riferito su Anadolu la nuova forza araba dovrebbe essere formata con l’obiettivo di entrare a far parte della Federazione della Siria del Nord, proclamata il 17 marzo 2016 dal Partito dell’unione democratica (Pyd). La tensione tra Ankara e Riad sembra salire inesorabilmente e la Siria è il terreno più probabile di un futuro scontro tra gli interessi del leader turco Erdogan e quelli dei Saud; scontro in cui i curdi giocherebbero un ruolo da protagonisti.

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