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La Turchia si conferma come l’alleato più “ribelle” degli Stati Uniti. Anakara, infatti, non intende fare un passo indietro sull’intenzione di acquistare i sistemi missilistici da difesa aerea russi S-400 nonostante abbia già ricevuto il via libera da Washington per l’acquisizione dei missili Patriot, decisione che potrebbe portare gli Stati Uniti a bloccarne la vendita.

Il vice presidente del Sottosegretariato per le Industrie della Difesa turco, Celal Sami Tufekci, durante la sua recente visita negli Stati -Uniti è stato oltremodo chiaro in merito: “Le consegne cominceranno nel 2019, quest’anno”. La sua dichiarazione al Seta, la Fondazione per le Ricerche Politiche, Economiche e Sociali di Washington, ha anche chiarito la motivazione per la quale “i massimi livelli” del governo turco hanno deciso di procedere all’acquisto degli S-400.

Anakara, come riportato dalla Tass, non sarebbe infatti soddisfatta dalle condizioni del pacchetto di vendita dei missili Patriot offerto da Washington, e le perplessità turche riguardano essenzialmente tre motivazioni fondamentali

“Quello che ha condotto la Turchia all’acquisizione degli S-400” ha detto Tufekci “è stata la politica posta in essere dagli Stati Uniti. Durante le negoziazioni il prezzo era un problema, il sito di produzione era un problema ed il trasferimento di tecnologia era un problema”. Secondo il rappresentante turco, poi, gli Stati Uniti ci hanno messo troppo tempo a finalizzare l’offerta, concretizzatasi solo lo scorso mese, sebbene, ad onor del vero, la Defense Security Agency americana avesse già dato il nulla osta a dicembre 2018. 

La minaccia americana

Washington quindi sarebbe pronta a far saltare il tavolo del contratto multi miliardario per la vendita dei missili Patriot.

Il pacchetto comprende 80 missili MIM-104E a guida migliorata, 60 missili Pac-3(Patriot Advanced Capability), quattro set di radar AN/MPQ-65, 20 lanciatori M903, cinque generatori e 10 Amg (Antenna Mast Group). Gli Stati Uniti forniranno anche assistenza e tutto l’equipaggiamento tecnico necessario all’addestramento, supporto logistico e manutenzione dei sistemi missilistici da difesa aerea il tutto per la cifra di 3,5 miliardi di dollari

Sebbene alcune fonti israeliane sostengano che Ankara, nonostante la conferma dell’acquisto degli S-400, vedrà arrivare anche i missili made in Usa, fonti turche riportano l’intenzione americana di stracciare il contratto.

Secondo Hürriet Daily News, che riporta un servizio della NTV, un ufficiale superiore americano, che ha voluto restare anonimo, avrebbe riferito che “Non procederemo secondo le condizioni dell’autorizzazione del Congresso nell’offerta alla Turchia, non siamo nelle condizioni di procedere con la vendita dei Patriot se l’acquisizione degli S-400 andrà avanti”. La fonte americana ha inoltre affermato che la decisione della Turchia mette in pericolo anche l’acquisizione dei cacciabombardieri F-35, al cui programma di costruzione Ankara partecipa attivamente.

“Siamo molto preoccupati del fatto che l’acquisto degli S-400 metterà in discussione la partecipazione della Turchia al programma F-35 e molto probabilmente si giungerà, per merito della nostra legislazione, ad un qualche tipo di regime sanzionatorio per effetto del Caatsa”.

L’ultimatum americano alla Turchia è già scaduto. Il 15 febbraio era la data ultima per poter dare una risposta a Washington in merito all’acquisto degli S-400. Al momento, nonostante la chiara intenzione di Ankara di procedere in questo senso con il primo lotto di missili russi in arrivo già a luglio, dal Dipartimento di Stato americano tutto tace. Formalmente la proposta Usa decadrà, per lo scadere dei termini contrattuali, alla fine di marzo, ma sul piatto c’è ben più della vendita di un sistema missilistico come il Patriot.

Un alleato scomodo

Erdogan, con la sua politica di apertura verso la Russia, ha trasformato la Turchia in un alleato scomodo per gli Stati Uniti.

Gli attriti tra Washington ed Ankara non si contano e riguardano i più vasti ambiti: da quello delle forniture militari, come abbiamo avuto modo di vedere, a quello umanitario con la vicenda del pastore evangelico detenuto a Smirne, sino a quello energetico, con Ankara sempre più legata a Mosca grazie al gasdotto Turkish Stream, che, con il fallimento di South Stream diventerà una via prioritaria di approvvigionamento anche per l’Europa.

Ankara ha sapientemente saputo saputo destreggiarsi nella difficile situazione mediorientale inserendosi nei rapporti tra Usa e Russia a seconda dei propri obiettivi. Non è un segreto che la Turchia sieda al tavolo delle trattative sulla Siria con l’Iran e la Russia e che guardi a Mosca e alla sua influenza su Damsco con interesse per cercare di arginare i curdi dello Ypg, visti da Ankara come il braccio siriano dei terroristi del Pkk.

È anche ben noto l’appoggio incondizionato di Ankara al Qatar durante la crisi con l’Arabia Saudita, storico alleato degli Stati Uniti che, nella questione, hanno “fatto finta di non vedere” avendo nell’emirato l’importante base di al-Udeid. A tal proposito non ci stupiamo del doppiopesismo americano proprio sulla questione degli S-400, che hanno suscitato il vivo interesse di Riad che ha avviato consultazioni ufficiali per il possibile acquisto. Normali questioni di realpolitik.   

In questo senso è anche emblematico il trattamento riservato all’India sempre sugli S-400: Washington ha cercato una scappatoia per non far incappare Nuova Delhi nelle sanzioni del Caatsa, essendo l’India un Paese fondamentale nella strategia Usa di contenimento alla Cina

Nonostante il sempre più costante “sguardo ad est” di Ankara, la Turchia resta un alleato importante per Washington proprio grazie alla sua posizione strategica tra Europa e Medio Oriente, ma forse non così fondamentale. Per questo motivo, come riportato dal Jerusalem Post, non stupisce che a seguito di una telefonata tra Erdogan e Trump lo scorso 14 dicembre, gli Stati Uniti abbiano deciso di ritirarsi dalla Siria e quindi di far mancare il loro appoggio alle milizie dell’Ypg.

Tale decisione è giunta proprio il giorno dopo il nulla osta per la vendita dei missili Patriot del 18 dicembre scorso. Una sequenza temporale troppo ravvicinata per essere frutto del caso.

Non bisogna però pensare che Trump sia ostaggio degli umori di Erdogan. Nei rapporti tra i due Paesi, oltre ai Patriot e alla questione degli F-35 che pesa come un macigno trattandosi dell’acquisto di un centinaio di velivoli, c’è comunque molto del cinismo della politica “America First” di Trump: la Turchia viene vista come un “cliente difficile” con cui trattare e data appunto la sua importanza relativa nello scacchiere mediorientale Washington si può permettere l’uso del “bastone e della carota” rispetto ad altri alleati – più preziosi – che ha in altre zone del globo. Del resto l’appoggio per il contenimento della minaccia iraniana, tra le attuali priorità della Casa Bianca, viene principalmente dall’Arabia Saudita e da Israele.   

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