Dopo l’escalation di tensioni dettato nelle scorse settimane dalla decisione della Turchia di Recep Tayyip Erdogan di intervenire in Libia al fianco di Fayez al-Sarraj, Ankara ed Atene sono ancora più vicine alla crisi diplomatica. La goccia che può far traboccare il vaso deriverebbe in realtà da una questione di lunga data, dettata dalla presenza dei militari greci nelle isole dell’Egeo, che la Turchia ha sempre interpretato come una violazione della propria sovranità nazionale e come un rischio costante per il Paese. Nonostante le decisioni degli anni passati, Atene si sarebbe rifiutata di applicare l’accordo del 1993 riguardo alla presenza militare nella regione, motivandola negli ultimi anni anche con la questione della necessità di interventi umanitari per via della crisi migratoria.

L’offensiva giudiziaria della Turchia

Adesso, però, per Ankara la situazione deve essere risolta ed il portavoce turco del ministro degli esteri Mevlut Cavusoglu ha dichiarato come la Turchia sia intenzionata a rivolgersi persino alla Corte di giustizia dell’Aia. La necessità, sempre secondo quanto riferito da Ankara, deriva dalle mancate possibilità di confronto in quanto il governo greco avrebbe sempre rifiutato si sedersi ad un tavolo comune per il confronto, non lasciando di conseguenza altra scelta al presidente turco Erdogan.

Cogliendo l’occasione, il portavoce turco Hami Aksoy non si è risparmiato una punzecchiatura nei confronti dell’eterno rivale ellenico, sottolineando come la chiusura alle trattative da parte di Atene derivi in parte dall’incapacità del Paese di difendersi da solo. Negli ultimi anni infatti la Grecia si sarebbe fatta forte della propria presenza all’interno dell’Unione europea, cercando in Bruxelles sempre una figura di intermediazione e di giustificazione del proprio operato nel Mar Egeo.

La risposta della Grecia

La risposta greca è arrivata direttamente per voce del primo ministro Kiriakos Mitsotakis, il quale ha difeso la posizione della Grecia motivandola con i rischi derivanti da un aumento dell’impegno militare turco nell’area mediterranea; percepito come ostilità nei confronti di Atene. A margine dell’intervento, il primo ministro ha rivendicato anche la necessità che la Grecia, data la sua estrema vicinanza alla Cirenaica, rimanga attiva militarmente e che il mancato intervento alla conferenza di Berlino dei giorni scorsi sia stata una grave mancanza internazionale.

Dal confronto a distanza emerge chiaramente come le posizioni dei due Paesi si siano polarizzate soprattutto nell’ultimo mese. L’entrata in guerra a sostegno di Sarraj da parte della Turchia ed i conseguenti movimenti militari nell’area hanno riacceso un conflitto ideologico che si era congelato, portando ad una nuova escalation di tensioni tra i due Paesi; simultaneamente ad un incremento dei flussi migratori verso le isole greche della regione. Le tensioni tra Ankara ed Atene rischiano di compromettere ulteriormente gli attuali rapporti tra la penisola dell’Anatolia e l’Unione europea, soprattutto nel caso in cui Bruxelles deciderà di sposare in pieno la causa ellenica. Inoltre, la questione legata al gasdotto East-Med è stata vista come un “tradimento” da parte della Turchia, spingendo Ankara a diminuire ulteriormente il proprio già minimo spirito di collaborazione. Con la conseguenza che, nonostante ormai – Cipro a parte – la questione sembrasse risolta, nei prossimi mesi anche il Mar Egeo potrebbe di nuovo tornare infuocato.





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