La Tunisia è stato il primo Paese arabo a vedere la propria leadership incrinarsi a causa delle proteste che, tra il 2010 ed il 2011, hanno dato vita alla cosiddetta “primavera araba”; nel gennaio di sette anni fa, il presidente Ben Alì è stato costretto a riparare in Arabia Saudita dopo un potere che durava da quasi un quarto di secolo. Da allora però, tra i cittadini, la percezione di uno Stato corrotto e lontano dalle proprie esigenze non è mutata e, allo stesso modo, non sembrano essere variate le reali condizioni della popolazione tanto che, in questi anni, non sono mancati episodi di violenze e vivaci proteste. Pur tuttavia, la gente in piazza è scesa soprattutto nel sud della Tunisia, dunque nella parte più povera di questa piccola nazione araba lì dove si lasciano alle spalle i grandi centri urbani e ci si addentra tra le prime dune del Sahara; il fatto che, da qualche giorno a questa parte, si scenda in strada anche nel nord e nei dintorni di Tunisi, è indicativo del clima nuovamente pesante che si respira all’interno del paese.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso
Gli ultimi dati parlano di un’età media, in Tunisia, di circa 31 anni e di un tasso di natalità che nel 2015 toccava 2.13 figli per ogni donna; il paese è quindi giovane, la popolazione appare in aumento specie se si raffrontano questi dati con i dirimpettai paesi della sponda europea del Mediterraneo, ma è proprio questo il nervo scoperto della società tunisina: la disoccupazione raggiunge punte del 16% complessivamente, percentuale che sale però oltre il 30% se si prendono in considerazione i dati della mancanza di lavoro tra gli under 30. Migliaia di tunisini, in poche parole, sono a spasso e la protesta del 2010 è iniziata proprio con il suicidio in pubblica piazza di Mohamed Bouazizi, giovane ambulante a cui era stata sequestrata da poco la merce che in quel momento era sua unica fonte di sostentamento; l’instabilità politica successiva alla caduta di Ben Alì non ha certo portato miglioramenti e, considerando anche la diffusione dell’estremismo islamico con la Tunisia oggetto di attentati e prima ‘fornitrice’ di foreign fighters all’ISIS, ecco che il paese non può che apparire come vera e propria polveriera.
Ed in questo contesto, l’aumento dei prezzi scattato a partire dall’avvento del nuovo anno non poteva che fungere da vero e proprio detonatore; l’entrata in vigore della finanziaria 2018, approvata nel dicembre scorso, ha provocato l’impennata del costo dei carburanti, dei generi di prima necessità, di pane e pasta, nonché l’aumento dell’IVA dell’1%. I motivi di queste misure sono rintracciabili nel percorso, intrapreso da Tunisi nel maggio 2016, di ancoraggio ai piani concordati con il Fondo Monetario Internazionale; proprio nei giorni scorsi, da Washington è stato dato il via libera alla terza tranche del prestito da 2.8 miliardi di Dollari approvato quasi due anni fa: in cambio dei soldi erogati dall’FMI, l’istituto ha chiesto corpose riforme volte a favorire le privatizzazioni e ad eliminare progressivamente gli aiuti di Stato, il quale storicamente è sempre intervenuto con propri finanziamenti per calmierare i prezzi dei beni di prima necessità.
Il governo tunisino quindi, per strappare anche i circa 400 milioni di Dollari previsti nella terza tranche del prestito, ha dovuto imporre misure drastiche volte anche al contenimento della spesa pubblica e del debito; ma tutto questo sta incidendo e non poco nella già dissestata economia reale: per una famiglia media tunisina, vedere anche un piccolo aumento di prodotti consumati nella quotidianità vuol significare demolire ulteriormente il proprio potere d’acquisto e peggiorare la propria qualità della vita. Un popolo, come quello tunisino, già esasperato da anni di crisi ed instabilità politica e che è sceso in piazza nel 2010 proprio per rimarcare la propria insofferenza, ha visto il sormontare di ulteriore tensione che ora sta portando a nuove proteste diffuse oramai in gran parte del paese.
Un morto a Tebourba e la sinagoga attaccata a Djerba
Tutto è iniziato il primo gennaio, quando i tunisini hanno visto gli effetti dell’applicazione pratica della nuova finanziaria; se in piazza sono state contate poche decine di persone a protestare, è sui social ancora una volta che è dilagata la protesta: in particolare, è dietro l’hastag #Fech_Nestanew (‘Cosa Stiamo Aspettando’, in arabo) che si nascondono i promotori di nuovi movimenti apartitici all’interno del quale si è incamerato il malcontento e si è iniziato, soprattutto, a parlare di nuove grandi manifestazioni. Che qualcosa si stesse muovendo, lo si è capito poi alla fine della settimana passata, quando cioè a mobilitarsi sono state le piazze delle città del nord della Tunisia e quindi della parte più ricca del paese; dal governatorato di Kairouan alle coste di Sfax, da Biserta fino ai quartieri periferici della capitale Tunisi, sono state contate negli ultimi giorni decine di manifestazioni, culminate spesso con scontri con la Polizia ed anche saccheggi e devastazioni di banche o di edifici governativi.
Ad El Battan ad esempio, non lontano da Tunisi, è stato attaccato e bruciato un commando della Polizia, nel governatorato di Gafsa è stato dato alle fiamme il locale ufficio dell’Agenzia delle Finanze; l’episodio più grave però si è registrato a Tebourba, lì dove è anche scappato il morto: un uomo di 43 anni infatti, che stava partecipando alla manifestazione, è morto in un ospedale della capitale dove era giunto in condizioni critiche. Secondo la Polizia, l’uomo soffriva d’asma e sarebbe entrato in crisi a causa del lancio di lacrimogeni durante gli scontri, mentre altre testimonianze locali affermano che in realtà la vittima sia stata investita da un’auto delle forze dell’ordine; a prescindere dalla dinamica di quanto accaduto, il fatto che nei pressi della capitale una manifestazione sia degenerata a tal punto è indicativo della situazione che si sta vivendo.
Non è stata risparmiata nemmeno la località turistica di Djerba, l’isola conosciuta per essere un vero e proprio paradiso per migliaia di visitatori ogni anno ma dove, come evidenziano gli ultimi episodi, il malcontento per il caro vita inizia a farsi sentire pesantemente; nelle scorse ore, riferiscono i media tunisini, è stata attaccata una Sinagoga con i manifestanti che hanno provato ad appiccare a più riprese le fiamme. Il governo invita alla calma, ma i manifestanti chiedono l’immediato ritiro della finanziaria 2018 ed il ripristino dei livelli di prezzi antecedenti all’ingresso del nuovo anno; dal canto suo il primo ministro Youssef Chahed ha affermato che non verrà tollerata alcuna violenza, predisponendo anche l’invio dell’esercito nelle piazze più calde di Tunisi e del paese. Mentre le stesse autorità tunisine fanno presente di aver arrestato al momento almeno 260 persone, dall’account #Fech_Nestanew si invita a mobilitarsi per una grande manifestazione da tenere nella capitale e nelle altre città più importanti il prossimo 13 gennaio.