L’Italia non deve solo guardarsi dagli spettri del dossier libico. Dall’altra parte del Mediterraneo le preoccupazioni nelle prossime settimane potrebbero arrivare anche dalla Tunisia. E del resto già da almeno un paio d’anni buona parte dei migranti sbarcati lungo le nostre coste arriva proprio da lì. Una rotta, quella tunisina, diversa da quella libica. É usata soprattutto dagli stessi tunisini e non da migranti risaliti dal Sahel. Le partenze sono quindi figlie della situazione economica e sociale interna al Paese nordafricano, sempre più precaria e quindi preoccupante.
Cosa sta succedendo in Tunisia
Negli ultimi dieci anni Tunisi è stata vista come un esempio. In molti hanno definito lo scenario politico tunisino come l’unico realmente democratico e dove la primavera araba ha saputo portare una forma di multipartitismo. Ma se si chiede a un cittadino quali sono stati gli effetti di questa presunta ventata democratica, la risposta non assumerebbe toni positivi. Nella migliore delle ipotesi, per i tunisini non è cambiato nulla. Poveri si era nel 2011 e poveri si è ancora adesso, forse anche peggio. La Tunisia ha preso il meglio e il peggio dell’occidente. Ha importato per esempio dall’Italia il “gusto” dell’instabilità politica e di parlamenti talmente frazionati da creare ogni anno una crisi di governo. Tutto questo ha voluto significare lo stop a ogni riforma e il rallentamento di tutti i vari progetti economici portati avanti. Il presidente Kais Saied il 26 luglio scorso, nel tentativo di dare una sterzata alla situazione, ha rotto gli indugi. Ha licenziato il premier Mechici e congelato il parlamento. Ha arrogato a sé pieni poteri sulla base di quanto previsto dall’articolo 80 della Costituzione, secondo cui in caso di emergenza il capo dello Stato può attuare simili disposizioni.
All’opinione pubblica questa mossa è piaciuta. La popolarità di Saied ha sforato anche il 90% nelle ultime settimane. Un “nuovo rais” a cui ci si affida per mettere ordine. Dal canto suo, il presidente ha nominato una donna nel ruolo di premier, Najla Bouden Romdhane, e ha promesso di mandare avanti le riforme per far risollevare il Paese. Queste mosse Saied non avrebbe potuto farle senza l’appoggio delle forze armate e di sicurezza. Queste ultime adesso stanno a guardare. L’obiettivo è verificare se le intenzioni del presidente porteranno o meno i frutti. La Tunisia ha un debito molto elevato, le riserve statali sono molto esigue e non possono essere usate, le agenzie di rating hanno declassato il Paese e i titoli di Stato valgono sempre meno. Saied non ha quindi molti margini di manovra, soprattutto sul fronte finanziario. Si sta provando la via dell’alleanza con i Paesi del Golfo. Pochi giorni fa il premier ha visitato l’Arabia Saudita, strappando una promessa di collaborazione militare. La strada non è così semplice: in cambio di possibili petrodollari da far catapultare nelle casse tunisine, il Paese ha ben poco da offrire. La via che porta a prestiti dell’Fmi invece è lastricata di insidie: da Washington si chiede, in cambio dei soldi, manovre lacrime e sangue di rientro del deficit. In questo contesto, l’appoggio popolare e dell’esercito dato a Saied potrebbe vacillare. E, con esso, l’intera intricata matassa tunisina.
I pericoli per l’Italia
Una Tunisia destabilizzata è uno spettro molto grande per il nostro Paese. In primo luogo ovviamente per il dossier immigrazione. Su 54mila migranti sbarcati in Italia nel 2021, 14mila sono tunisini. Una cifra già non così lontana dallo scorso anno, dove addirittura le persone approdate dalle coste tunisine hanno rappresentato il 48% del totale. Il governo di Roma a più riprese ha chiesto alle autorità locali di occuparsi in modo serio del problema. Nell’estate del 2020 a Tunisi si sono recati sia il ministro degli Esteri Luigi Di Maio che il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. Viaggi poi ripetuti in altri momenti. Sono stati stretti accordi per aiutare le forze di sicurezza locali a ridimensionare la portata degli sbarchi. Ma i risultati non sono arrivati. Se lo scenario dovesse complicarsi, il problema immigrazione potrebbe diventare ancora più grave e importante.
Ci sono poi altri dossier sul tavolo. A partire da quello legato al terrorismo. La Tunisia è stato il Paese che ha fornito il maggior numero di foreign fighters all’Isis. Il fenomeno della radicalizzazione di molti suoi giovani, spinti verso la jihad anche dalle mancate prospettive economiche, è molto serio. Era un tunisino sbarcato a Lampedusa ad esempio il terrorista ad aver compiuto la strage di Nizza dell’ottobre 2020. La collaborazione con Tunisi sul fronte della sicurezza è vitale per l’Italia e per la prevenzione di possibili attentati. C’è poi il lato economico. Gli scambi commerciali tra le due sponde del Mediterraneo sono sempre più vivaci e coinvolgono sempre più settori. Un collasso dell’economia tunisina avrebbe ripercussioni anche dalle nostre parti.